Le rubriche

Piccola Storia della Poesia Italiana

di Mario Macioce

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 


XX parte

Vincenzo Cardarelli (pseudonimo di Nazareno Caldarelli), nacque nel 1887 a Corneto Tarquinia (VT) e morì a Roma nel 1959. Autodidatta, fece vari mestieri, fu giornalista, scrisse in poesia e prosa; fondò e diresse la rivista letteraria La Ronda e non ha giovato al giudizio postumo sul poeta la sua prossimità al clima politico dell'epoca. Promosse un "classicismo" che si rifaceva in qualche modo a Leopardi, di cui per altro non seguì le orme. Nella sua, come in molta poesia del Novecento, abbondano i polimetri, cioè poesie con versi disuguali (talvolta irregolari), come in Autunno :

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.


Ancora più legato alla tradizione e alla semplicità espressiva, e quindi vittima dell'ostracismo della critica novecentista, è Diego Valeri, nato a Piove di Sacco (PD) nel 1887 e morto a Roma nel 1976. Fu, oltre che poeta (autore anche di belle poesie per bambini), insegnante, saggista, critico d'arte e validissimo traduttore. Di lui questa breve poesia, Cortile :

C'è una piccola rosa che si dondola
sul pozzo antico, in mezzo al gran cortile:
una fiammella di carmino intenso.
Freddo grigiore intorno; ma la piccola
rosa si volge al ciel primaverile,
e il ciel le piove il suo sorriso immenso.

 

Camillo Sbarbaro, nato a Santa Margherita Ligure nel 1888, fu impiegato, insegnante di greco, autore in prosa e in poesia, combattente nella prima guerra mondiale; morì a Savona nel 1967. Una delle sue poesie più note è Padre :

Padre, se anche tu non fossi il mio
padre,
per te stesso ugualmente t'amerei.
. . . . .

E di quell'altra volta mi ricordo
che la sorella, bambinetta ancora,
per la casa inseguivi minacciando.
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura, ti mancava il cuore:
t'eri visto rincorrere la tua
piccola figlia e, tutta spaventata,
tu vacillando l'attiravi al petto
e con carezze la ricoveravi
tra le tue braccia come per difenderla
da quel cattivo ch'eri tu di prima.
. . . . .

 

Ed ecco uno dei grandi poeti del secolo: Giuseppe Ungaretti, nato ad Alessandria d'Egitto, da genitori italiani, nel 1888 e morto nel 1970 a Milano. A 24 anni si trasferì a Parigi, dove frequentò alcuni tra i più notevoli personaggi della cultura, francesi e italiani. All'inizio della prima guerra mondiale venne in Italia per partecipare al conflitto, e nelle trincee del Carso, davanti alle sofferenze e alla morte, scrisse alcune delle sue poesie più belle, drammaticamente sintetiche ed efficaci.

In queste composizioni giovanili privilegiò la brevità della poesia e dei versi, forse anche per la particolarissima situazione ambientale; spesso con una metrica nascosta (negli anni spaziò dal verso libero alla poesia in metrica e in rima), spezzando i versi in due o tre frammenti e traendo in inganno la maggior parte dei suoi lettori e imitatori che non si accorgono che la musicalità e l'armonia di molte poesie ungarettiane viene dagli endecasillabi, dai settenari o dai versi doppi; un esempio per tutti, la celebre: Si sta come / d'autunno / sugli alberi / le foglie che appare fatta di quattro versetti senza regole, ma ha la musica di due settenari.

Da "Il porto sepolto", la prima raccolta da lui pubblicata e che comprende le poesie di guerra, Sono una creatura :

Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio canto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

 
e San Martino del Carso :

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato

 
Da "Naufragi" la celebre Mattina :

M'illumino
d'immenso

 
(guai a cercare di imitarlo, sperando di cogliere una così grande intuizione con così poche parole!)

 
Da "Sogni e accordi", Stelle (1927):

Tornano in alto ad ardere le favole.

Cadranno con le foglie al primo vento.

Ma venga un altro soffio,
Ritornerà scintillamento nuovo.

 
Da "Leggende", La madre (1930):

E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.

 
Da "Giorno per giorno" (1940-1946) la prima di una serie di drammatiche strofe:

«Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto ...»
E il volto già scomparso
Ma gli occhi ancora vivi
Dal guanciale volgeva alla finestra,
E riempivano passeri la stanza
Verso le briciole dal babbo sparse
Per distrarre il suo bimbo ...

 
e per finire, da "Dialogo" (1966-1968), Il lampo della bocca :

Migliaia d'uomini prima di me,
Ed anche più di me carichi d'anni,
Mortalmente ferì
Il lampo d'una bocca.

Questo non è motivo
Che attenuerà il soffrire.

Ma se mi guardi con pietà,
E mi parli, si diffonde una musica,
Dimentico che brucia la ferita.