Le rubriche

Piccola Storia della Poesia Italiana

di Mario Macioce

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 


XVI parte

Mi limito a nominare tre bravissimi poeti - Pascarella, Di Giacomo e Trilussa - di cui, in un contesto di poesia italiana, dovrei citare pochi versi, insufficienti a render loro giustizia. Meritano invece un posto di rilievo nella poesia dialettale e leggere le loro opere è sempre un piacere.


Un poeta fra Ottocento e Novecento, ignorato dai più, osannato da altri, è Gian Pietro Lucini, nato a Milano nel 1867 e morto nel 1914. Di lui si può ricordare la posizione anarchica e repubblicana (ed era un nobile) e la scelta del verso libero; a questa però giunse per gradi, partendo da forme tradizionali, come i sonetti, anche se con piccole trasgressioni (periodi lunghi a cavallo su più versi, abolizione del rigo vuoto che separa le due quartine e le due terzine, uso di alcune parole strane e insolite secondo il gusto del tempo).

Due esempi del primo e del secondo Lucini:

Morbido cielo fuso in un malato
rossor verso occidente; il sussurrante
canale va bagnando un colonnato
di stilite betulle. Ad ogni istante
manca la luce e svolgesi nel fiato
mite l'odor dei gilii. Va un errante
ultimo uccello nel vapor calato,
un velo di rugiada. . . . .

Canzone, voce d'oro, arrochita ne' trivi cittadini;
Canzone, in veste di seta
sciupata ed elegante pel lungo peregrinare,
stanca, trascorsa ne' pomeriggi d'agosto,
nell'aria bassa ed umida, lungo i tappeti verdi
rasi, ingialliti e meschini
dei Parchi de' pitocchi,
tirchii Giardini-Pubblici;
. . . . . .


Altra voce che tende ad attenuarsi col tempo è quella di Ada Negri (1870-1945); voglio comunque ricordarla con una sua graziosa poesia, che si trovava spesso nelle antologie scolastiche: Nevicata .

Sui campi e su le strade
silenziosa e lieve
volteggiando, la neve
cade.

Danza la falda bianca
ne l'ampio ciel scherzosa,
poi sul terren si posa
stanca.

In mille immote forme
sui tetti e sulle case
sui cippi e nei giardini
dorme.

Tutto d'intorno è pace:
chiuso in oblio profondo,
indifferente il mondo
tace.

Ma nella calma immensa
torna ai ricordi il core
e ad un sopito amore
pensa.


E poi la volta di un poeta, Corrado Govoni (1884-1965) (pubblicò molto presto e anticipò altri più anziani di lui), nato in provincia di Ferrara, che in qualche modo riassume in sé i due filoni principali che caratterizzano l'inizio del secolo scorso: quello intimistico-crepuscolare di tanta poesia, da Gozzano a Corazzini e a Moretti, e quello dello sperimentalismo e del modernismo a tutti i costi che ha avuto come fenomeno più eclatante il " Futurismo ".

Govoni a 19 anni pubblicò a sue spese la prima raccolta di poesie, Le fiale , da cui traggo questo brano:

So d'una villa chiusa e abbandonata
da tempo immemorabile, segreta
e chiusa come il cuore d'un poeta
che viva in solitudine forzata.

La circonda una siepe, e par murata,
di amaro bosso, e l'ombra alla pineta
da tanto più non rompe né più inquieta
la ciarliera fontana disseccata.
. . . . . .

Degli stessi anni è il polimetro (versi di varia lunghezza) fatto però di quartine a rima incrociata, da cui questa strofa:

Una campana sgrana una spica
di suoni un poco usati;
dei fioretti malati
seccano in mezzo ai tegoli di mica.
. . . . . .

Altre sue poesie di quel periodo sono formate da distici a rima baciata, ma con versi disuguali, e francamente l'accostamento di una rima così forte con versi così dissonanti è bruttino assai.

Da "Poesie elettriche" (1911) l'inizio di Autunno , che sta fra polimetro e versi liberi:

O triste vento !
Volteggiano come volani
i frutti alati delle samare.
Tra gli alberi il frumento
si stende lontano lontano
come una verde nevicata d'astri.
. . . . . .

In "Rarefazioni e parole in libertà" (1915) compaiono le "poesie" più stravaganti di Govoni, di cui non posso riportare esempi, perché si tratta in realtà di disegni, con qualche commento e didascalie sparse, come la celebre Il Palombaro riprodotta in molte antologie del Novecento.

Ma preferisco chiudere con "Govonigiotto" (1943) che rappresenta un ritorno alla tradizione (e alla musicalità) e da cui è tratta questa breve poesia:

La pioggia è il tuo vestito.
Il fango è le tue scarpe.
La tua pezzuola è il vento.
Ma il sole è il tuo sorriso e la tua bocca
e la notte dei fieni i tuoi capelli.
Ma il tuo sorriso e la tua calda pelle
è il fuoco della terra e delle stelle.


E veniamo a Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), nato ad Alessandria d'Egitto da genitori italiani, così come, alcuni anni più tardi, Ungaretti; e le analogie non finiscono qui: entrambi infatti, lasciato l'Egitto, vissero per qualche anno in Francia e scrissero in francese.

Marinetti fondò il movimento, esteso poi a molte arti, noto come " Futurismo ". E del 1909 il suo " Manifeste du Fututurisme ", pubblicato in Francia, ed è significativo il titolo del suo saggio del 1913: " Dopo il verso libero le parole in libertà ".

Fu anche acceso nazionalista e bellicista e si avvicinò all'ideologia fascista; contribuì ad ispirare la cultura dell'epoca, anche se presto la sua importanza nella letteratura italiana divenne sempre più marginale.

Ecco un paio di esempi della sua poesia: l'inizio di " All' Automobile da corsa "

Veemente dio d'una razza d'acciaio,
Automobile ebbrrra di spazio,
che scalpiti e frrremi d'angoscia
rodendo il morso con striduli denti ...
Formidabile mostro giapponese,
dagli occhi di fucina,
nutrito di fiamma
e d'olî minerali,
avido d'orizzonti e di prede siderali ...

e di " Battaglia Peso + odore "

Mezzogiorno 3/4 flauti gemiti solleone tumbtumb allarme Gargaresch schiantarsi crepitazione marcia Tintinnìo zaini fucili zoccoli chiodi cannoni criniere ruote cassoni ebrei frittelle pani-all'olio cantilene bottegucce zaffate lustreggìo cispa puzzo cannella muffa flusso riflusso pepe rissa sudiciume turbine aranci-in-fiore filigrana miseria dadi scacchi carte gelsomino+nocemoscata+rosa arabesco mosaico carogna pungiglioni acciabattìo mitragliatrici=ghiaia+risacca+rane . . .