Le rubriche

Piccola Storia della Poesia Italiana

di Mario Macioce

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 

III parte

LA DIVINA COMMEDIA

E' il capolavoro di Dante e della poesia italiana; formata da cento canti, divisi in tre Cantiche: 34 canti nell' Inferno, con il primo che introduce tutta l'opera, e 33 canti sia nel Purgatorio che nel Paradiso. Sono più di 14.000 versi; quindi Dante è scusato, se non tutti sono ugualmente perfetti.
Si tratta di strofe di tre endecasillabi a rime incatenate (che furono poi chiamate appunto "terzine dantesche") con lo schema A B A B C B C D C D E D etc.

La vicenda è nota: Dante a metà del cammino della vita, cioè sui trentacinque anni, si rende conto di essere preda delle passioni e dei peccati; per riscattarsi deve compiere un lungo cammino di redenzione, attraversando, unico vivente, i tre regni dell' oltretomba.
Le sue guide sono Virgilio, il grande poeta latino tanto ammirato da Dante, e poi Beatrice, nel Paradiso, dove Virgilio, in quanto non battezzato, non può entrare.

I brani scelti sono solo un piccolissimo assaggio di un'opera che dovrebbe essere letta, almeno per quanto riguarda l' Inferno, che è la parte meno difficile e più famosa.

Dal V canto dell' Inferno, con citazione certo non originale, ho tratto l'episodio di Paolo e Francesca.
Siamo nel secondo cerchio, quello dei lussuriosi, che Dante percorre con particolare emozione, perché teme, se non cambierà vita, di finirci lui stesso un giorno. Lì le anime dei peccatori, che si sono fatti travolgere dalle passioni, vengono travolte e trascinate per l'eternità da una bufera incessante. Dante è colpito dalla vista di due che sembrano ancora presi da fortissimo amore e chiede di parlare con loro; per un poco le due anime possono uscire da quel turbine infernale e volare verso il Poeta "quali colombe dal disìo chiamate".
I due amanti sono Francesca da Rimini, costretta per motivi politici a sposare un marito rozzo e deforme, e il fratello di lui, Paolo, bello e sensibile. Sorpresi dal marito, sono stati uccisi. E Francesca, commossa dalla pietà di Dante per loro, racconta la sua storia:

. . . . . .
Amor, che al cor gentil ratto s' apprende,1
prese costui della bella persona
che mi fu tolta; e il modo ancor m'offende.2
Amor, che a nullo amato amar perdona,3
mi prese del costui piacer 4 sì forte,
che, come vedi, ancor non m' abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina 5 attende chi vita ci spense".
. . . . . .
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
nella miseria; e ciò sa il tuo dottore.6
Ma se a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,7
farò come colui che piange e dice.
Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancillotto, come amor lo strinse:
soli eravamo e sanza alcun sospetto.8
Per più fiate, gli occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;9
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso10
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia11 diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto12 fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante".

1 ratto s' apprende = si avvince improvviso
2 e il modo ... = parla della propria uccisione ad opera del marito
3 a nullo ... perdona = non permette a nessuno che sia amato di non amare
4 del costui piacer = per il suo amore
5 Caina = la zona dell'Inferno dove sono puniti i traditori dei parenti
6 il tuo dottore = chi ti conduce (Virgilio)
7 se a conoscere ... affetto = se hai tanto desiderio di conoscere l' origine del nostro amore
8 sanza alcun sospetto = senza immaginare ciò che sarebbe accaduto
9 per più fiate ... il viso = più volte quella lettura ci spinse a guardarci e ci fece impallidire
10 il disiato riso = la gioia desiderata
11 non fia = non sarà
12 Galeotto = è il personaggio che fa da tramite nella vicenda di Lancellotto e Ginevra, moglie di re Artù.

 

Nel Purgatorio non vi sono episodi famosi come nell'Inferno. Dal III canto ho tratto l' incontro con Manfredi, lo sfortunato re sconfitto e ucciso a Benevento da Carlo d' Angiò (questa sconfitta e in seguito quella del giovanissimo Corradino segnarono la fine in Italia del dominio Svevo, che aveva avuto il massimo splendore con Federico II, alla cui corte in Sicilia era sorta la Scuola che è all' origine della poesia italiana).

Io mi volsi ver lui e guardail fiso:1
biondo era e bello e di gentile aspetto,
ma l' un de' cigli un colpo avea diviso.
Quand' i' mi fui umilmente disdetto2
d' averlo visto mai, el disse "Or vedi";
e mostrommi una piaga a sommo 'l petto.
Poi sorridendo disse: "Io son Manfredi,
nepote di Costanza imperadrice;
ond' io ti priego che quando tu riedi,
vadi a mia bella figlia, genitrice
de l' onor di Cicilia e d' Aragona,
e dichi il vero a lei, s' altro si dice.3
Poscia ch' io ebbi rotta la persona
di due punte mortali,4 io mi rendei,5
piangendo, a quei che volontier perdona.
Orribil furon li peccati miei:
ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.6

1 ver lui ... fiso = verso di lui e lo guardai fisso
2 mi fui disdetto = ebbi negato
3 vadi a mia bella ... si dice = vai dalla mia bella figlia, madre dell' onore di Sicilia e di Aragona (i figli di lei furono re di quei due Paesi) e dille, se corre un' altra voce, la verità (che io sono in Purgatorio e non sono morto dannato).
4 di due punte mortali = da due mortali ferite
5 io mi rendei = io mi resi, mi affidai
6 la bontà ... a lei = la bontà infinita (di Dio) ha braccia così grandi, che accoglie tutti coloro che si rivolgono a lei.

 

Dal Paradiso, infine, (canto XXXIII) ho preso i primi versi della preghiera alla Madonna, che è forse l'esempio più alto della poesia italiana di tutti i tempi.

Ciò che distingue la poesia è la musica che la pervade; se manca questa musicalità, fatta con metrica tradizionale o cercando ritmi nuovi, c' è solo prosa, e non serve andare continuamente a capo!
E' facile però che un autore sacrifichi il contenuto, facendo versi bruttissimi, per far tornare a tutti i costi la metrica o la rima, o che, al contrario, getti via metrica e rima, per l' incapacità di esprimere altrimenti il proprio pensiero.
Poeta, a qualunque livello, è chi riesce a creare la musicalità della poesia (e magari anche le armonie delle forme chiuse tradizionali) pur esprimendo tutto se stesso e nel modo migliore di cui è capace.
Dante di sicuro lo fa, e uno degli esempi più alti è in questa preghiera, in cui versi e rime sono perfetti, ma senza sacrificare minimamente il contenuto; anzi, ogni parola è quella giusta, ogni concetto è profondo, ogni espressione sintetizza un lungo discorso teo-logico e filosofico; nessuno avrebbe potuto dire, con poche frasi, di più o di meglio.

"Vergine madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d' eterno consiglio,
tu se' colei che l' umana natura
nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
. . . . . . .

Vergine madre, figlia, in quanto anche tu sei una creatura, del tuo Figlio che è creatore insieme al Padre (cfr. il Vangelo di Giovanni, cap. I, e il testo del Credo); al tempo stesso umile e sublime più di ogni altra creatura; termine fisso, nel tempo, di un decreto eterno (in quanto il progetto di salvezza è eterno e infinito, ma c' è un ben preciso momento in cui Dio, tramite Maria, entra nella storia dell'umanità); tu sei colei che nobilitasti a tal punto la natura umana, che il Creatore dell'umana natura non disdegnò di esserne a sua volta frutto, incarnandosi.

Guardate quante parole mi ci sono volute per dire (male) quello che Dante ha detto così mirabilmente e in poesia!