Le rubriche

 

1 OTTOBRE 2005 - CONVEGNO DI GENOVA

Il SONETTO dal Dolce Stil Novo al Dolce Stile Eterno

8 secoli di successo in tutto il mondo della più italiana delle forme poetiche

di Elena Zucchini

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 

Ma la cosa importante è che, dopo che Dante ne ha dato per scontata l'inferiorità rispetto a ballata e canzone come genere letterario, il sonetto diviene subito una forma appropriata anche allo stile elevato (anche in Dante stesso) e conserva in tutta la poesia italiana fino ad oggi una completa disponibilità a tutti i livelli di stile (d'amore, comica, sentenziosa, d'occasione).

Non solo, ma uscito dai confini d'Italia fin dal 1500, entra nelle varie letterature europee e d'oltre oceano dove si evolve, si modifica, ma rimane “IL SONETTO”, un prodotto non popolare, ma d'arte, nato in Italia nel 1200 e giunto sino a noi sempre uguale a se stesso e ben riconoscibile.

La crisi della casa di Svevia provoca la fine dell'egemonia culturale della Scuola Siciliana, ma il patrimonio d'arte e di cultura è ereditato dall'Umbria (con JACOPONE DA TODI) e soprattutto dalla Toscana. Anzi furono proprio i copisti toscani a tramandarci la produzione poetica siciliana che altrimenti sarebbe andata perduta.

In Toscana l'ambiente cambia: non c'è più una monarchia centrale, c'è il COMUNE con i suoi cittadini. E il poeta è appunto un cittadino.

Cambiano quindi i temi: accanto a quello d'amore entrano il tema morale e politico. Ma il sonetto continua il suo cammino glorioso anche quando si manifesta nel campo formale qualche ricerca di giochi di parole, di rime al mezzo, ad esempio in GUITTONE D'AREZZO, che oggi chiameremmo poeta d'avanguardia e per il quale invece parliamo di sperimentalismo formale.

È proprio attraverso lo sperimentalismo di forme e contenuti e con l'evolversi del gusto e col prodursi di nuovi ideali poetici che si crea quel nuovo modo di poetare che Dante definirà il Dolce Stil Novo (Purg XXIV). L'iniziatore è GUIDO GUINIZZELLI (Bologna 1230-1276). Il Dolce Stil Novo utilizza ampiamente il sonetto per esprimere il nuovo ideale della donna angelicata.

Il 1200 sta terminando: è l'epoca di Dante e Guido Cavalcanti.

Che dire di DANTE ALIGHIERI? Fiorentino, nato nel 1265 e morto nel 1321, in lui culmina e si conclude il mistico medio-evo. È figura fondamentale e sempre attuale, basti pensare che ancor oggi il 15% del lessico italiano è stato immesso nell'uso per la prima volta da lui e che il 50% delle parole che usiamo si ritrova anche in Dante. Padre dunque della lingua e della letteratura italiana è pure riferimento decisivo della nostra identità nazionale.

GUIDO CAVALCANTI, nato a Firenze intorno al 1255 e morto nel 1300, solo apparentemente è da considerarsi un poeta minore, poiché fu grande amico di Dante e ne influenzò notevolmente l'opera. Tema unico della sua produzione è l'amore, vissuto come opportunità di nobilitazione ed esperienza tragica, secondo i dettami del Dolce Stil Novo.

Allora era in voga la tenzone poetica che spesso scadeva nell'insulto più volgare, ma che talvolta assurgeva al livello di vero capolavoro. Così DANTE e GUIDO si danno botta e risposta a suon di sonetti:

Guido, i' vorrei…

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch' ad ogni vento
per mare andasse a voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ‘l desio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buon incantatore

e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.

 

(Risposta di Guido a Dante)

S' io fossi quelli che d'amor fu degno,
del qual non trovo sol che rimembranza,
e la donna tenesse altra sembianza,
assai mi piaceria siffatto legno.

E tu, che se' de l'amoroso regno
là onde di merzè nasce speranza,
riguarda se ‘l mi' spirito ha pesanza:
ch' un prest' arcier di lui ha fatto segno

e tragge l'arco, che li tese Amore,
sì lietamente, che la sua persona
par che di gioco porti signoria.

Or odi meraviglia ch' el disia:
lo spirito fedito li perdona,
vedendo che li strugge il suo valore.

 

Ma per rimarcare come il sonetto si prestasse ad ogni genere letterario, eccone uno famosissimo in stile comico-realistico, del campione del genere, CECCO ANGIOLIERI , senese, nato nel 1260 e morto nel 1312:

S'i' fosse foco, arderei ‘l mondo

S'i' fosse foco, arderei ‘l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempesterei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil' en profondo;

s'i' fosse papa, sare' allor giocondo,
chè tutti cristïani imbrigherei;
s'i' fosse ‘mperator, sa' che farei?
A tutti mozzarei lo capo a tondo.

S'i' fosse morte, andarei da mio padre,
s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similemente farìa da mi' madre.

S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.

(segue)

 

I parte

II parte

III parte

IV parte

V parte

VI parte

VII parte

VIII parte

IX parte

X parte

XI parte