Le rubriche

La metrica italiana

di Mario Macioce

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 


VI parte

La Sestina

E' una strofa che si trova in due versioni.

La Sestina lirica (o canzone sestina) è una composizione senza rime, ma le parole con cui terminano i sei versi della prima strofa sono le stesse, scambiate di posto, con cui terminano i versi di ogni strofa successiva; la rotazione non è casuale, ma segue uno schema ben preciso e ripetuto. Le strofe quasi sempre sono sei, così la rotazione delle parole finali è completa; poi ci può essere un congedo, in genere di tre versi (con le sei parole presenti anche qui, tre in fondo e tre all'interno dei versi).

Credo però che il modo migliore per capirsi sia vedere un esempio di sestina (prime due strofe) dal Canzoniere del Petrarca:

L'aere gravato, e l'importuna nebbia

A

compressa intorno da rabbiosi venti

B

tosto conven che si converta in pioggia;

C

e già son quasi di cristallo i fiumi,

D

e 'n vece de l'erbetta per le valli

E

non se ved'altro che pruine e ghiaccio.

F

 

 

Et io nel cor via più freddo che ghiaccio

F

ho di gravi pensier tal una nebbia,

A

qual si leva talor di queste valli,

E

serrate incontra a gli amorosi venti,

B

e circundate di stagnanti fiumi,

D

quando cade dal ciel più lenta pioggia.

C

. . . . . . .

 

I versi delle altre quattro strofe terminano con le stesse parole (nebbia, venti, pioggia, fiumi, valli, ghiaccio) ruotate così: CFDABE / ECBFAD / DEACFB / BDFECA.

La Sestina narrativa o sesta rima è invece una strofa rimata secondo lo schema ABABCC, con i primi quattro versi a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata (una versione ridotta della più nobile ottava rima, che vedremo poi).

In genere è in endecasillabi; ecco però una sestina di Carlo Betocchi con versi settenari e ottonari:

. . . . . . .

 

 

 

Là, dove son romite

a

valli monotone, spente,

b

acque lacustri e trite

a

stagnandovi sonnolente

b

nasci, e per sete del mondo

c

balzi nel cielo profondo.

c

. . . . . . .

 


Occasionalmente si trovano anche sestine con schemi di rime differenti, ad esempio ABBACC oppure ABBAAB o altro.

 

L' Ottava o ottava rima

E' un tipo di composizione che è stato in auge per secoli, dal Trecento fino al Seicento e oltre, specialmente per la poesia epica o eroicomica. Colui che l'ha "lanciata" è Boccaccio, che la impiegò nel Filostrato e poi nel Ninfale fiesolano .

Un grandissimo numero di poemi, poemetti e poesie sono stati scritti con questo genere di strofa, usata tra gli altri da Pulci, Boiardo, Ariosto, Tasso, Marino, Tassoni, Leopardi e Giusti.

Dopo il Seicento l'ottava è piuttosto rara (uno dei pochi esempi è Sant'Ambrogio del Giusti), ma sopravvive fino ai giorni nostri nella poesia popolare, soprattutto quella dei rimatori "a braccio", abilissimi ad improvvisare contese poetiche a botta e risposta.

La strofa è formata da otto versi, quasi sempre endecasillabi, sei a rima alternata seguiti da due a rima baciata, secondo lo schema: A B A B A B C C (e poi naturalmente: D E D E D E F F, e così via).

Questa è una strofa dal poemetto Ninfale fiesolano di Boccaccio:

Se tu m'aspetti, Mensola mia bella,

A

i' t'imprometto e giuro per gli dei

B

ch'io ti terrò per mia sposa novella

A

ed amerotti sì come colei

B

che se' tutto 'l mio ben e come quella

A

ch'ài in balìa tutti i sensi miei;

B

tu se' colei che sol mi guidi e reggi,

C

tu sola la mia vita signoreggi.

C


e una strofa dall' Orlando Furioso di Ludovico Ariosto:

Afflitto e stanco al fin cade ne l'erba,

A

e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.

B

Senza cibo e dormir così si serba,

A

che 'l sole esce tre volte e torna sotto.

B

Di crescer non cessò la pena acerba,

A

che fuor del senno al fin l'ebbe condotto.

B

Il quarto dì, da gran furor commosso,

C

e maglie e piastre si stracciò di dosso.

C


Infine due ottave dalla Gerusalemme Liberata del Tasso:

Cibo non prende già: ché de' suoi mali

A

solo si pasce, e sol di pianto ha sete:

B

ma 'l sonno, che de' miseri mortali

A

è co 'l suo dolce oblio posa e quïete,

B

sopì co' sensi i suoi dolori, e l'ali

A

dispiegò sovra lei placide e chete;

B

né però cessa Amor con varie forme

C

la sua pace turbar mentr'ella dorme.

C

 

 

Non si destò finché garrir gli augelli

D

non sentì lieti a salutar gli albori,

E

e mormorare il fiume e gli arboscelli,

D

e con l'onda scherzar l'aura e co' fiori;

E

apre i languidi lumi, e guarda quelli

D

alberghi solitari de' pastori;

E

e parle voce udir, tra l'acqua e i rami,

F

ch'ai sospiri ed al pianto la richiami.

F

 

Parente povero dell'ottava rima della poesia epica è il Rispetto toscano (o Strambotto), che è una composizione breve, spesso anche di una sola strofa, di argomento lirico e amoroso, e di carattere popolare. Lo schema di rime può essere quello classico dell'ottava, oppure, raramente, A B A B A B A B (Rispetto siciliano), ma in genere è A B A B C C D D, come in quest'esempio di Olindo Guerrini:

Nell'aria della sera umida e molle

A

era l'acuto odor de' campi arati

B

e noi salimmo insiem su questo colle

A

mentre il grillo stridea laggiù nei prati.

B

L'occhio tuo di colomba era levato

C

quasi muta preghiera al ciel stellato;

C

e io che intesi quel che non dicevi

D

m'innamorai di te perché tacevi.

D

 

La Nona rima , di solito con schema A B A B A B C C B, e la Decima rima (A B A B A B C C C B) sono veramente molto rare.

 

Lo Stornello

E' una strofetta breve, popolare, formata da un verso di invocazione, in genere ad un fiore, e da due endecasillabi in consonanza fra loro e col terzo verso che rima col primo; ad esempio:

Fior d'amaranto
vieni con me, ti voglio far contento,
perché sei bello e a me mi piaci tanto.

 

L' Acrostico

E' una composizione dalle caratteristiche non definite, in cui le lettere iniziali di ciascun verso, lette di seguito, formano un nome o una frase. La forma strofica è varia, condizionata dalle parole che si vogliono comporre con le iniziali, ma l'acrostico ha senso soprattutto se la poesia è in metrica e in rima, altrimenti è troppo facile scrivere versi (o frasi) che abbiano all'inizio la lettera voluta.

Ecco un esempio:

Molto ho scritto di te, molto ho sognato,
Anche se tu non mi pensavi intanto;
Rimpiango tutto quel che non è stato
In quei momenti che t'ho avuta accanto.
Sempre ricorderò di quelle ore
Ardente la speranza dell'amore.

Come si può vedere, le iniziali dei versi formano la parola "Marisa".

* * * * *

Voglio concludere queste schede sulla metrica e sulle composizioni tipiche della poesia italiana con una forma nuova.

Abbiamo parlato spesso di versi e di composizioni che hanno la loro origine nel Duecento, quando si è cominciato a usare come lingua letteraria l'italiano (il “volgare”), o, per meglio dire, i dialetti, in particolare il siciliano e poi il toscano, che ha finito col prevalere e diventare la lingua di tutta la nazione (televisione esclusa!).

I poeti della scuola siciliana (prima metà del Milleduecento) sono stati così bravi da riuscire a cogliere quasi tutte le potenzialità del nuovo linguaggio, dal punto di vista poetico e “musicale”, e hanno scoperto regole metriche che, essendo leggi naturali, non hanno potuto essere sostituite né superate nel corso dei secoli. Naturalmente si può non seguirle e cercare musicalità nuove, più dissonanti, in linea con certe tendenze (o mode?) della musica e dell'arte, ma i risultati spesso sono deludenti e soltanto i prossimi secoli potranno distinguere il grano dal loglio nella produzione moderna.

Quello poi che non hanno fatto i Siciliani, l'hanno fatto poco dopo i Toscani (avete presente Dante, Petrarca e compagnia bella?) per cui apparentemente non c'è rimasto gran che da inventare; tanto che molti autori del Novecento si sono arrabattati in ogni modo e con ogni tipo di sperimentazione, nel tentativo di creare musicalità diverse, fuori della tradizione (fra l'altro i versi "liberi" non sono in genere affatto liberi, ma rispondono a complessi progetti di nuove sonorità!).

E così molti, equivocando, pensano che dal Novecento si sia rinunziato del tutto all'armonia dei versi, per fare poesia in prosa, andando semplicemente a capo ogni tanto e senza motivo. Infatti i numerosissimi concorsi di "poesia" sono inondati da brani in prosa che, se belli, potrebbero ben figurare in un romanzo o in un diario, ma che con la poesia non hanno niente a che vedere (di solito però non hanno niente a che vedere con la poesia nemmeno le giurie, e quindi il sistema funziona perfettamente, e rende!)

Eppure si possono fare cose nuove, anche in linea con una tradizione plurisecolare.

Prima di tutto si possono usare le forme consuete, ma con un linguaggio e una tematica moderni. Inoltre non c'è limite alla fantasia con cui si possono combinare o inventare forme metriche diverse e giochi di rime (se piace la rima); e infine, quando si vuole, ci si possono porre ostacoli e fare con se stessi sfide sempre nuove.

La libertà è di chi può scegliere fra tante opzioni. Che libertà c'è nei versi "liberi", anzi liberissimi, se è l'unica cosa che si sa fare?

Mi capita a volte di sentire persone che si rammaricano di non poter partecipare ai nostri incontri, perché - dicono - vorrebbero tanto conoscere la metrica. Quando poi osservo che la metrica ha pochissime regole e chiedo se hanno dato almeno una scorsa alle prime schede pubblicate sull'Alfiere, mi rispondono: a) non le hanno nemmeno guardate, perché sono troppo difficili (ma come fanno a saperlo, se non le hanno guardate?) b) non hanno tempo.

Si vede che sono interessati alla metrica, ma vorrebbero che qualcuno gliela "siringasse" in testa, senza perdere neppure un'ora. Se è così mi auguro che lascino perdere e non vadano a ingrossare le fila di quelli che credono di conoscere la metrica per "scienza infusa" o che la identificano con rime orrende!

Ma il bello è che dopo otto secoli di poesia è stato ancora possibile lanciare un nuovo tipo di composizione, il Rondò italiano, ideato nel 1995 da Dalmazio Masini, presidente dell' Accademia Vittorio Alfieri, e poi ripreso da tanti altri poeti di tutt'Italia.

Abbiamo fatto ricerche per vedere se questa forma, tutto sommato "normale", era già stata usata da qualcuno durante i secoli, ma non ne abbiamo trovato esempi. Ciò significa che se anche in futuro dovesse saltar fuori un'antica poesia sconosciuta fatta così, non toglierebbe nulla alla priorità del nuovo Rondò italiano.

Vi sono, sia in musica che in poesia, molte composizioni che hanno avuto il nome di rondò (vedi ad esempio D'Annunzio), ma si tratta di cose assolutamente diverse, che hanno in comune solo una ciclicità (da cui il nome), una ripetizione della melodia o del verso.

 

Il Rondò italiano

E' una composizione in quartine rimate e incatenate; ogni quartina è a rima alternata, ma l'ultimo verso rima col primo della strofa seguente, per cui ciascuna rima risulta ripetuta quattro volte (e solo quattro volte, perché la stessa rima non si deve più incontrare). Il verso finale dell'ultima quartina, che non ha una strofa successiva, si riallaccia all'inizio, facendo rima con il primo verso della poesia.

L'andamento delle rime pertanto è questo: ABAB / BCBC / CDCD / DEDE / .... / XAXA.

Il tutto dà l'idea di un ballo circolare, fatto ruotando su se stessi e girando contemporaneamente anche la sala, fino a tornare al punto di partenza. Per questo la nostra socia Gioia Guarducci ha proposto il nome "Rondò", a cui poi è stato aggiunto l'appellativo "italiano", per caratterizzarlo meglio e distinguerlo dalle forme musicali e metriche che hanno il generico nome di rondò.

E' un tipo di composizione che richiede capacità ed esperienza, perché è facile fare rime brutte e forzate, ma difficile farne tante e belle, senza inciampare mai in paurose cadute di stile! Non consiglio perciò di affrontarlo a chi non ha una buona padronanza della metrica e della rima, altrimenti, direbbe Dante, "sua disianza vuol volar sanz'ali".

Ovviamente non posso né proporre esempi classici, che non ci sono, né riportare per intero un Rondò, dato che si tratta in genere di composizioni piuttosto lunghe. Chi ci legge ne ha già trovati numerosi esempi sul nostro periodico L'Alfiere e nella raccolta "Il Rondò italiano - Vol. II", edita nel luglio 2002.

Mi limito a riportare l'inizio e la fine del primo rondò della storia della poesia: Ottobre di Dalmazio Masini.

Troppo uguale a quest'aria mi ritrovo
a questo dolce scivolare d'ore
che son per me come un vestito nuovo
mollemente avvolgente e protettore,

poco o niente rimane del furore
che accompagnò i miei passi appena ieri
quando bastava un cenno intenditore
ad accendere istinti avventurieri.

. . . . . . . . . .

Come il tepore è prossimo a morire
verso una fredda meta i passi muovo
ma pur se teso a questo divenire
bacio l'ultimo Sole e mi commuovo.

* * * * *

Per concludere queste pagine, c'è da dire che si trovano molte altre forme metriche, a volte anche con regole variabili o non ben definite, secondo la fantasia dell'autore, oppure riprese da analoghe composizioni classiche, soprattutto greche, che però sono cadute in disuso o sono comunque scarsamente usate nella poesia italiana.

Non è il caso quindi di parlarne in questa rubrica, che non ha ambizioni enciclopediche o accademiche, ma è semplicemente una panoramica della materia; più vasta comunque di molte striminzite appendici poste in fondo alle antologie scolastiche e che non si leggono mai, sia per mancanza di tempo, sia per la naturale prudenza dei molti insegnanti a cui l'argomento non è stato insegnato!

 

Fine della rubrica "La metrica italiana"