Le rubriche

La metrica italiana

di Mario Macioce

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 

 

III parte

Con l'endecasillabo termina l'elenco dei versi, per così dire, "classici". Restano da vedere i versi più lunghi, presenti spesso nei poeti moderni, e i versi composti.

Dodecasillabo

Per questo verso, di cui non si parla nei libri scolastici, possiamo indicare alcuni schemi di accenti, ma si tratta in ogni caso di un verso composto, che suona bene solo se sono metricamente perfette le parti componenti.

Gli accenti principali possono essere su terza, settima e undicesima sillaba (e di fatto è un quadrisillabo unito a un ottonario); o su quarta, settima (o ottava) e undicesima sillaba (ed è un quinario più un settenario), come in

E, come allora, scompaiono cantando.
(Pier Paolo Pasolini)

oppure su una delle prime sillabe, e poi sulla sesta, ottava (o nona) e undicesima (ed è un settenario più un quinario):

Come pesa la neve su questi rami
(Attilio Bertolucci)

Infine gli accenti metrici possono essere su seconda, quinta, ottava e undicesima sillaba, e allora non è neppure un vero dodecasillabo, ma un classico doppio senario, come in

o falce d'argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!
(Gabriele D'Annunzio)

Il sole si mette una benda di lutto
. . . .
siccome una lastra d'argento brunastro
. . . .
io solo mi posso indugiare a guardarlo
(Aldo Palazzeschi)

Versi di tredici o più sillabe

Vale quanto detto per il dodecasillabo: questi versi suonano bene se composti da versi in perfetta metrica, come in questa strofa:

Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell'ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù.
Qualche nostro antenato dev'essere stato ben solo
- un grand'uomo tra idioti o un povero folle -
per insegnare ai suoi tanto silenzio.
(Cesare Pavese)

Questi sono tutti versi di tredici sillabe (formati da settenari più senari dal ritmo perfetto) salvo il terzultimo di 16 sillabe (ma è un settenario più un novenario) e l'ultimo, che è un normale endecasillabo. C'è una rottura del ritmo, nell'insieme della poesia, data da questi due versi differenti dagli altri.

Del resto una delle caratteristiche tipiche di molti autori moderni è quella di alternare versi classici, dalla musicalità perfetta, (magari anche spezzati su due o tre righe, come per non farli riconoscere - vero, Ungaretti?) con versi volutamente dissonanti, alla ricerca di nuovi effetti cromatici, per cui non ci sono, per i versi di 12, 13, 14 o più sillabe, regole costanti, comunemente accettate.

L'unica regola, se non si vuol fare a meno di usare versi molto lunghi e per ciò stesso prosastici, è cercare ad orecchio un effetto melodico che sollevi i versi dalla piattezza di un semplice susseguirsi di frasi.

I versi composti

Tralasciando tutte le varie combinazioni possibili, dal doppio quadrisillabo al doppio quinario, a tutti gli abbinamenti di versi di lunghezza differente, vediamo i più usati.

Doppio senario

Il sole declina - fra i cieli e le tombe
Ovunque l'inane - caligine incombe.
Udremo sull'alba - squillare le trombe?
(Gabriele D' Annunzio)

Ciascuna metà di questi versi (che ho diviso con una lineetta per evidenziare le due parti) può essere vista come un normale senario, con gli accenti sempre sulla seconda e sulla quinta sillaba.

Doppio settenario

E' detto anche "alessandrino" oppure "martelliano", dal nome del poeta che lo lanciò nella poesia italiana, imitando l'alessandrino francese. Se ne trovano pochi, e isolati, nelle poesie del Novecento.

Forse un mattino andando - in un'aria di vetro
(Eugenio Montale)

I pontili deserti - scavalcano le ondate
(Mario Luzi)

Doppio ottonario

Anche questo verso è raro nel Novecento.

La luna stilla un suo pianto - d'oro nel mar di viola:
tacite lagrime d'alba, - tristezza di partir sola.
(Ada Negri)

 

Versi sciolti

I versi sciolti (che spesso sono confusi con i versi liberi, ma non c'entrano) sono veri versi, in metrica, con accenti giusti e quindi giusta musicalità, "sciolti" però da schemi precostituiti di strofe e rime. Le strofe non ci sono, e i versi si susseguono senza stacchi, oppure ci sono, ma formate da un numero variabile di versi e senza ripetitività; le rime sono assenti o sparse senza regola fissa.

Esempi altissimi di versi sciolti sono la quasi totalità delle poesie di Leopardi, formate in genere da endecasillabi e settenari, che sono, come già detto, i versi italiani più nobili e più usati, proprio per la loro varietà e la musicalità che non è mai cantilena.

In endecasillabi sciolti sono stati tradotti - per conciliare l'armonia dei versi con la maggior fedeltà possibile al testo originale - i grandi poemi dell'antichità, Iliade, Odissea ed Eneide.

I versi sciolti sono molto usati dai poeti del Novecento, da Saba a Cardarelli, da Sbarbaro a Ungaretti, da Gatto a Penna (che però usano spesso la rima), da Montale a Luzi (scusandomi con i tanti che non ho citato, per non fare una lista infinita). A volte nelle poesie in versi sciolti è mescolato qualche verso libero, magari più lungo degli altri.

 

Il polimetro

E' in sostanza una composizione in versi sciolti, in cui si alternano versi di lunghezza differente, in genere senza un ordine regolare.

E' presente in varie epoche, a volte per dare effetti particolari, come nella famosa poesia di Francesco Redi, Il trionfo di Bacco e di Arianna, in cui si imita il linguaggio incoerente e slegato di un ubriaco:

Passa vo'
Passa vo'
passavoga, arranca, arranca;
che la ciurma non si stanca,
anzi lieta si rinfranca,
quando arranca,
quando arranca inverso Brindisi:
Arianna, brindis, brindisi.

E' un polimetro, con qualche verso anomalo, la famigerata Rio Bo di Aldo Palazzeschi che tutti i non giovanissimi, come me, sono stati costretti ad imparare da bambini.

Il polimetro è una delle forme preferite da molti poeti moderni, che alternano versi di varia lunghezza, senza schemi ripetitivi, e non rifiutano talvolta la presenza di qualche verso molto lungo o con accenti dissonanti.

Per gli esempi non c'è che l'imbarazzo della scelta; vediamone qualcuno.
. . . . .
Intorno
circola ad ogni cosa
un' aria strana, un' aria tormentosa,
l' aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
(Umberto Saba)

Ci sono, anche in questo breve brano, quattro tipi di versi: trisillabo, quinario, settenario ed endecasillabo.

Di fatto è un polimetro anche la notissima “Meriggiare pallido e assorto ...” di Eugenio Montale, in cui si susseguono novenari, decasillabi ed endecasillabi, raggruppati però in strofe: tre quartine di versi rimati tra loro, con rime normali o ipermètre (véccia - intrécciano), culminanti nell'ultima strofa, di cinque versi, con un raffinato e originale gioco di rime e consonanze, che rendono unica questa poesia.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Abbiamo visto alcuni polimetri rimati. Ma spesso i poeti del Novecento non usano la rima, pur usando quasi tutti, in un modo o nell'altro, la metrica.

Fra gli infiniti esempi che si possono trovare, ne citerò solo un paio.
. . . . .
Ora passa e declina,
in quest' autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.
(Vincenzo Cardarelli)

Questi cinque versi sono tutti differenti fra loro: due settenari, di cui uno sdrucciolo, un endecasillabo, un doppio quinario (l'ultimo) e un ottonario (il secondo).

Qui l'ottonario ha uno schema particolare, con gli accenti principali su quarta e settima sillaba; esiste anche una variante con accenti su seconda e settima. Non ho messo questi schemi nella tabella dei versi (vedi schede 1 e 2), perché non sono "tradizionali"; li usano molto però i poeti del Novecento, come Onofri, Rebora, Cardarelli, Quasimodo, Caproni, Sereni, Luzi ed altri; talvolta anche Montale.

L'ottonario classico ha un ritmo così accentuato che nel Novecento è stato usato quasi soltanto per filastrocche, come quelle che sui giornalini, in mancanza di televisione e relativi cartoni animati, narravano ai bimbi di qualche decennio fa le storie del Signor Bonaventura e di Sor Pampurio. Questi schemi, invece, che hanno una buona musicalità, ma non sono troppo ritmati, permettono all'ottonario di essere a pieno titolo tra i versi tipici dei polimetri moderni, che si vogliono musicali, ma non in modo eccessivo.

San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato

(Giuseppe Ungaretti)

(Non ho messo punteggiatura, come ha fatto il Poeta per un vezzo giovanile, poi abbandonato).

Ho riportato questa poesia per intero perché è famosa e molto bella, e soprattutto perché si presta ad alcune considerazioni; ma non è un caso isolato: le stesse cose più o meno si possono dire di tante poesie di Ungaretti, come di molti altri poeti famosi.

Oltre alla tragica bellezza del contenuto, si può notare l'armonia, la gradevole fluidità di questo testo, che pure sembra in versi liberi.

Ma c'è il ... trucco e, anche se non si vede, si sente! Provate a trascrivere quei versi affiancadoli a due a due. I primi due, che sono normali quinari, diventano un doppio quinario e qui la musica non cambia; ma il terzo e il quarto, insieme, fanno un perfetto novenario con i giusti accenti, il quinto più il sesto sono un decasillabo sdrucciolo, il settimo e l'ottavo sono di nuovo due quinari, e infine le ultime due coppie di versi, i più incisivi, formano due perfetti endecasillabi dai giusti accenti e dal bellissimo suono.

E' chiaro che modificare i versi così sarebbe un falso, ma serve a far capire che la musicalità e l'afflato che pervadono molte delle poesie di Ungaretti e di tanti altri, anche quelle apparentemente non in metrica, non vengono dal cielo e tanto meno dai versi liberi, ma da questa presenza nascosta (e nemmeno tanto) della metrica "tradizionale".

Leggiamo correttamente questa poesia come è stata scritta, quindi con una piccola pausa alla fine di ogni verso (ricordiamoci che se un poeta va a capo ci deve pur essere una ragione, e se invece fa le cose senza una ragione, ... non è un poeta). Il ritmo risulta spezzato (e probabilmente Ungaretti riteneva ciò più originale o moderno), ma la melodia non è affatto soffocata, specialmente nei versi finali, dove la cesura dovuta a quel "a capo" dà solo un attimo di sospensione, di affanno che accentua la drammaticità del testo.

 

State certi che se una poesia, oltre che bella per il contenuto, per le immagini, per la felice scelta delle parole, è anche gradevole e musicale, c'è sotto la metrica, palese o occulta, da sola o con qualche verso libero, voluta o spontanea, magari anche inconscia, frutto di vaghi ricordi e di echi inconsapevoli di memoria, ma c'è. Cherchez la métrique! si potrebbe dire, parafrasando il detto francese: cherchez la femme!

Perchè la metrica non è una serie di norme, più o meno astruse, imposte da qualcuno, ma un insieme di leggi naturali, che distinguono, musicalmente, la poesia dalla prosa. Ci sono anche quelli a cui la musica non piace, ma questo è un altro discorso.

Poi bisogna imparare a non fare di ogni erba un fascio: esiste della bruttissima poesia in metrica, e soprattutto si possono fare bruttissime rime; ma nessuno, credo, sarebbe disposto a buttare tutta la musica del mondo, solo perché esiste la brutta musica.

 

Versi liberi

E veniamo ai famosi, mitizzati e anche poco conosciuti versi liberi, se è vero che esiste un buon numero di leggende metropolitane.

Per prima cosa, sono molto usati dai poeti amatoriali, ma non altrettanto dagli autori moderni grandi o comunque noti, i quali, salvo eccezioni, ne fanno un uso saltuario o limitato ad un periodo della loro esperienza poetica, o, come detto, li inseriscono in ordine sparso tra i versi in metrica.

Poi non è affatto vero che siano più moderni: la prima poesia in versi liberi che si ricorda è del 1224 ed è il famoso Cantico di Frate Sole di S. Francesco; è quindi coetanea delle prime poesie in metrica italiana. Da allora sono state fatte di certo tantissime composizioni in versi liberi, anche se, e non per caso, quelle che hanno resistito al tempo sono quasi tutte in metrica.

Infine l'esaltazione del verso libero, come più adeguato ai tempi, non è recente. Risale alla seconda metà dell'Ottocento, ad opera di Walt Whitman, estroso e retorico poeta americano della nuova frontiera, seguito da alcuni autori francesi, come Jules Laforgue e Gustave Kahn (il quale peraltro era nemico della rima, ma intendeva creare "un ritmo elastico" e di "un assoluto valore musicale"); più tardi, nel primo Novecento, alle teorie di Whitman e degli altri si sono ispirati alcuni autori italiani, tra cui i "Futuristi".

Il verso libero è, come dice il nome, del tutto libero (al contrario del verso sciolto): è privo di metrica e di rima; ha quindi le stesse regole della prosa, anzi anche meno, perché in genere la prosa ha degli obblighi di coerenza, di logicità, nonché di grammatica e di sintassi, che la poesia può anche non avere. Questo ovviamente rende tutto più facile e dà la possibilità di esprimere al massimo le proprie emozioni. Perciò chi ha ambizione di riconoscimenti e premi, specie se non ha dimestichezza con la metrica, fa bene a usare i versi liberi. (Anche perché la maggior parte dei giurati dei concorsi di poesia non s'intendono di poesia, ma sono modesti poeti dilettanti - oggi ti premio io, domani mi premi tu - o persone "in tutt'altre faccende affaccendate").

E' inutile fare esempi di versi liberi, perché, non essendoci regole, pochi versi isolati non esemplificano nulla; il valore è nel contenuto, nella scelta degli argomenti, delle parole e delle immagini, al limite nell'accostamento di suoni di vocali e consonanti, per cui la casistica è infinita e il giudizio soggettivo.

Ma qui entriamo nel campo della critica letteraria, che ho sempre evitato in queste note, perché non c'entra con l'obiettivo dichiarato, che è solo quello di parlare un po' di metrica, e perché richiede ben altre penne (o tastiere) che la mia!

Esaurita così la panoramica sui versi, rimane da parlare di strofe, di composizioni poetiche, e anche, un po' più in dettaglio, di rime; cosa che faremo nel seguito.