Le rubriche

Il Dolce Stile Eterno
nella poesia italiana del XX secolo

di Dalmazio Masini

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 

IV parte

GIORGIO CAPRONI, nato a Livorno nel 1912 e morto a Roma nel 1990 è stato uno dei massimi interpreti della poesia italiana del Novecento proprio per le sue capacità di unire forme classiche ed "ermetismo".
Se a un grande suo contemporaneo possiamo accostarlo ci viene subito in mente Montale, sia per lo stile, che per certe analogie di vita, non solo perché dalla natia Livorno nel 1922 si trasferì in quella Genova dove Montale stava assiemando quel capolavoro poetico che è "Ossi di seppia", ma anche perché ambedue avevano studiato musica (e lo si sente leggendo i versi) e per la costante presenza panoramica della marina tirrenica, con i suoi colori e i suoi rumori.
Nella vasta produzione poetica iniziata con la raccolta "Come un'allegoria" pubblicata a Genova nel 1936 (Notevole è "Cronistoria" - Vallecchi 1943) due sono le tappe fondamentali: "Il passaggio di Enea" edito da Vallecchi nel 1956 dove Caproni nella prima parte ripropone il, da lui considerato, "meglio" di tutte le raccolte precedenti e, 20 anni più tardi, "Poesie" - Garzanti 1976 - dove praticamente ripete lo stesso lavoro riservando la prima metà del volume alla riproposta di quasi tutte le poesie già evidenziate con "Il passaggio di Enea".
Pur privilegiando il metro dell'endecasillabo Caproni ci ha lasciato anche molte pagine in versi liberi, però quasi sempre troviamo la musicalità delle rime e "versi" che sono VERI VERSI e non la "prosa poetica" tanto di moda nel nostro secolo.
Qui in linea con il "Dolce Stile Eterno" vogliamo concludere con 3 sonetti scritti negli anni '40.

POCO PIU' SU L'ADOLESCENZA...

Poco più su d'adolescenza ahi mite
fidanzata così completamente
morta! Sulle compagini sfinite
di tante pietre, una scienza demente
riduce già la storia: le nutrite
vampe delle cavalle alla mordente
rena di gioventù - le nostre unite
briglie, frenate nell'etere ardente
dalla rincorsa e al sonno ora allentate
sulle tue nocche per l'eterno. (O fu
anche il tuo nome una paglia in estate
strinata fra i papaveri - un di più
appena opposto alle corse accecate
per non sperdere a sangue ogni virtù?).

 

SONETTO D'EPIFANIA

Sopra la piazza aperta a una leggera
aria di mare, che dolce tempesta
coi suoi lumi in tumulto fu la sera
d'Epifania ! Nel fuoco della festa
rapita, ora ritorna a quella fiera
di voci dissennate, e si ridesta
nel cuore che ti cerca, la tua cera
allegra - la tua effigie persa in questa
tranquillità dell'alba, ove dispare
in nulla, mentre gridano ai mercati
altre donne più vere, un esitare
d'echi febbrili (i gesti un dì acclamati
al tuo veloce ridere) al passare
dei fumi che la brezza ha dissipati.

 

ALBA

Amore mio, nei vapori d'un bar
all'alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti ! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rifresco anche l'occhio, ora nell'ermo
rumore oltre la brina io quale tram
sento, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte? ... Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un'eco. Ma tu, amore,
non dirmi, ora che in vece tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte!

Giorgio Caproni

 

E adesso vorrei chiudere questa pagina con una poesia di quello che, con Gozzano, è stato il maggior poeta italiano del Novecento, Eugenio Montale. "Vento e bandiere" fa parte della raccolta "Ossi di seppia" ed è stata la poesia che per me rappresentò la porta d'accesso al mondo di Montale, certamente la meno ermetica e la più musicale del suo primo repertorio, dove i pilastri della tradizione sono ancora ben saldi nella metrica dell'endecasillabo e nel gioco delle rime (notare le "ipermetre" "Valli/pallido" nella prima strofa e "ali/alito" nella terza) tutte "alternate" nelle prime 5 strofe e invece "intrecciate" nella strofa conclusiva.

 

VENTO E BANDIERE

La folata che alzò l'amaro aroma
del mare alle spirali delle valli,
e t'investì, ti scompigliò la chioma,
griviglio breve contro il cielo pallido;

la raffica che t'incollò la veste
e ti modulò rapida a sua imagine,
com'è tornata, te lontana, a queste
pietre che sporge il monte alla voragine;

e come spenta la furia briaca
ritrova ora il giardino il sommesso alito
che ti cullò, riversa sull'amaca,
tra gli alberi, ne' tuoi voli senz'ali.

Ahimè, non mai due volte configura
il tempo in egual modo i grani! E scampo
n'è: ché, se accada, insieme alla natura
la nostra fiaba brucerà in un lampo.

Sgorgo che non s'addoppia, - ed or fa vivo
un gruppo di abitati che distesi
allo sguardo sul fianco d'un declivo
si parano di gale e di palvesi.

Il mondo esiste... Uno stupore arresta
il cuore che ai vaganti incubi cede,
messaggeri del vespero: e non crede
che gli uomini affamati hanno una festa.

Eugenio Montale