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        IL DOLCE STILE ETERNO
        di Elena Zucchini
        da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere del gennaio 2017
        Nell’ambito  dell’Accademia Vittorio Alfieri, nell’ultimo decennio del secolo, alle soglie  del terzo millennio, si è formato attorno al presidente Dalmazio Masini un  cospicuo gruppo di poeti che hanno operato la coraggiosa scelta di esprimersi  esclusivamente in versi canonici, raggruppati secondo le tradizionali forme  metriche, dove la rima è elemento centrale di caratterizzazione e di bellezza. Coscienti  che “la grande letteratura insegna a cercare la libertà attraverso una coerente  disciplina di forme tradizionali” (Mario Missiroli) e coscienti anche che “la  sostanza non ha valore di per sé, ma l’acquista tutto dal lavoro dell’artista”  sarebbe a dire che “la forma è ed ha da essere della poesia almeno i ¾” (Giosuè  Carducci), questi poeti in un impulso di protesta contro il mercato del  “brutto”, contro il credo del “tutto è arte”, contro l’abitudine, le mode, l’impegno più o meno fasullo, si sono costituiti come quell’avanguardia che ha  come scopo la conservazione e la prosecuzione della tipica poesia italiana. Il  nome di questo movimento poetico, 
          Il  Dolce Stile Eterno, è stato coniato da Dalmazio Masini che l’ha  lanciato per la prima volta a metà degli anni ’80 come titolo di una sua  rubrica sulla rivista “Toscana Arte 2000”. E’ evidente il riferimento al Dolce  Stil Novo proprio per sottolineare il recupero formale operato da questo  gruppo: l’aggettivo “dolce” riguarda l’amalgama linguistico-metrico-sintattico,  insomma la soavità di questo stile che era “novo” ai tempi di Dante e dopo 8  secoli può ben dirsi che ha il sapore dell’eternità e che continuamente viene  “eternizzato” da una attualizzazione sintattico-lessicale. I principi su cui si  basa questa poesia, in aperta contrapposizione a quelli espressi dalla poesia  novecentista (in particolare dall’ermetismo e dalle neoavanguardie degli anni  ’60-’70), sono i principi della verità e della semplicità, con il richiamo ai  valori più genuini come l’amore, l’amicizia, gli affetti familiari, escludendo  la retorica e la falsità. I temi prediletti sono quelli d’amore, inteso in  tutte le sue manifestazioni, ma non vengono scartati né quelli sociali né  quelli legati alla storia o alla quotidianità; anche la natura entra spesso nel  racconto lirico soprattutto a rappresentare gli stati d’animo. 
Lo  stile è sempre elevato, anche perché non disdegna nessuno degli istituti metrici  tradizionali, neppure i più 
chiusi,  come il sonetto, anche quando l’argomento fosse di natura giocosa. Il linguaggio,  in netta contrapposizione con la distruzione totale operata dai futuristi ed  anche dal lessico privo di sintassi di ungarettiana memoria, si snoda  attraverso il corretto uso dell’armoniosa lingua italiana nei vari modi possibili:  può essere letterario o colloquiale, ma mai banale o volgare. 
Si  ottiene così una poesia “popolare”, comprensibile, che parla al cuore della  gente, in grado di suscitare emozioni e suggestioni di bellezza, intendendo per  “popolare” la poesia che “incatenata” da rime, “legata” da 
architetture  metriche, “inscatolata” in schemi strofici, è uscita dalle pagine dei libri  (almeno da quando i libri esistono) e passando di bocca in bocca è riuscita a  viaggiare nello spazio e nel tempo. Al contrario quella poesia innovativa del  ‘900, dove l’innovazione si è consumata tutta nel verso libero e che si è  spinta fino a perdere i confini tra poesia e prosa, proprio questa cosiddetta  “poesia libera” è la vera prigioniera, condannata ad essere ergastolana  rinchiusa nei libri e ad uscirne per quei pochi minuti d’aria che qualcuno  decide di concederle. 
Non  dimentichiamo poi che la poesia è nata per la voce, per essere recitata, anzi  cantata e, modellata originariamente sui rigorosi ritmi musicali, quando ha  divorziato dalla musica, si è data delle regole ritmiche per ritrovarne una sua  interna. 
Il  nostro gruppo non intende proporre solo un recupero sterile e immobile delle  tipiche forme italiane, ma, muovendosi nel solco della tradizione, è proteso  all’innovazione e a una riscrittura delle forme classiche in chiave neomoderna.  Anima di questa continua ricerca è il nostro Maestro, Dalmazio Masini, che ha  rielaborato, ad esempio, il sonetto (sonetto speculare e sonetto con 3 rime). 
Non  solo, ma il suo lavoro si è spinto oltre il rimaneggiamento delle forme  preesistenti, pervenendo addirittura alla creazione di una nuova forma poetica  poggiata su regole ben precise. Dalmazio Masini nell’autunno del 1995 scrisse  “Ottobre” in un gioco di quartine incatenate che subito innamorò Gioia  Guarducci. La poetessa ideò il nome di “Rondò Italiano” per questo costrutto  metrico e Mario Macioce nel Laboratorio di Poesia lo ufficializzò come “una  delle più belle forme della poesia italiana di tutti i tempi” e la propose come  esercizio di perfezionamento metrico ai propri allievi. 
Analizziamone  nel dettaglio la struttura. Le quartine presentano al loro interno il gioco  rimico semplice della 
rima  alternata, ma la quartina successiva riprende la rima finale precedente creando  così “esternamente” un gioco di rima baciata. Le rime vengono travasate da una  quartina all’altra finché nella quartina finale viene ripresa la rima iniziale  chiudendo il componimento come un cerchio. 
Dalla  Toscana il Rondò italiano ha conquistato tutta l’Italia, così che tanti Autori  in Campania come in Piemonte, in Veneto, in Liguria, in Sicilia, in Sardegna, in  Emilia e in Abruzzo hanno abbracciato con entusiasmo la lezione di Masini e si  sono cimentati nella difficile composizione. 
Il  nostro lavoro, il nostro entusiasmo, la nostra passione sono la risposta all’amaro  discorso che Montale 
fece  a Stoccolma nel 1975 in occasione dell’assegnazione del Nobel. Analizzando la  società a lui contemporanea, dominata dai media e dal consumismo, dove le arti  tendevano a confondersi e a smarrire la loro identità, il poeta si chiedeva se  era ancora possibile la poesia. Noi, oggi, rispondiamo di sì e, se il suo ruolo  ora appare marginale rispetto “all’esibizionismo isterico” delle comunicazioni di  massa, confidiamo riattivando e rigenerando questo tipo immortale di poesia,  dotandola di sonorità, facendola circolare in mezzo alla gente di interrompere  l’insensata rapidità in cui tutto si consuma e di reintegrarla nella sua  funzione di autentica comunicazione e di riflessione. 
        Elena Zucchini |