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UN POETA AL SALONE DEL LIBRO

di Enzo Gaia

da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere di Maggio 2014

Sono ormai trascorsi vent'anni, eppure ricordo ancora il giorno nel quale ho ricevuto la lettera del Salone del Libro di Torino in cui era scritto: "Gentile Poeta, La invitiamo a presentare allo stand della Sua Casa Editrice il suo libro di poesie Come Arlecchino".
Alla lettera era allegato il pass con la dicitura professionale. Leggo a voce alta la lettera a mia padre ed esclamo:
"Da oggi sono un Poeta con la "p" maiuscola!"
"Non darti troppe arie, hai fatto il Liceo Classico per sbaglio e lavori in un ufficio a fare fotocopie!"
"Papa', io sono un poeta!"
"Ed io un marinaio!"
"Allora ti rispondo con le parole di Giacomo Leopardi:
" ... Così tra questa immensità s'annega il pensier mio: e il naufragar m'è dolce in questo mare ..."
"Piantala di fare il poeta sfigato e maledetto!"
"Se non lo fossi non avrei scritto un libro!"
"Quanto sei ingenuo! Hai pubblicato a tue spese, mi pare e l'Editore ti avrà ricompensato chiedendo alla Direzione di offrirti uno spazio nel programma. Nella vita è sufficiente pagare e si ottiene tutto. O quasi".
Queste erano le sue sentenze contro le quali non esistevano argomenti. Ma finalmente arriva per me il grande giorno.
Giungo a Torino vestito in maniera elegante, con una cravatta nuova, i gemelli ai polsini della camicia, il pass bene in vista all'occhiello della giacca, e vado subito alla biglietteria del Salone riservata agli addetti ai lavori, dove ricevo una valigetta e un libro pesantissimo con l'elenco delle Case Editrici.
Eccomi catapultato nel magico mondo dell'editoria, nel quale ogni Editore è presente con il proprio stand, dallo strano ed insolito "Parole di cotone" a quelli più famosi: "Einaudi", "Feltrinelli", "Bompiani", "Mondadori", per citarne alcuni.
Un labirinto di libri di ogni tipo e dimensione con le copertine colorate, fresche di stampa, allineate sopra metri e metri di scaffalature. È difficile orientarsi e trovare la mia editrice non è una impresa facile.
Mi sembra di essere Pinocchio nel Paese dei Balocchi, ma non ho come guida ne' il compagno Lucignolo, né l'Omino di Burro con la sua carrozza.
Mi è di grande aiuto il pass: infatti, ogni volta che lo mostro, ottengo considerazione ed informazioni.
Comincio a credere di essere famoso quando trovo lo stand.
E' molto piccolo e semi nascosto da quello maestoso della Mondadori. Le pareti di cartongesso e il tavolo di legno lo fanno sembrare un banco delle fiere paesane; a renderlo diverso mancano soltanto la ruota della lotteria e gli scaffali con i premi numerati. Inoltre, ad accogliermi, non è l'Editore, ma un giovane in maniche di camicia della mia stessa età.
Di lui mi colpisce subito la voce stridula che ricorda la puntina rotta dei vecchi giradischi. Lo guardo sorpreso, mi stringe la mano e mi dice con un sorriso malizioso:
“Ciao, io mi occupo dello stand, e tu hai un'ora di tempo per vendere il tuo libro”.
 “Non capisco, pensavo che avrei dovuto presentarlo al pubblico con l'Editore ... ! Devo anche comprare un biglietto della lotteria?"
"Ti credi spiritoso? Sai, la tua battuta non mi ha fatto ridere! La Signora è andata in albergo a riposare. I libri al Salone devono essere venduti, quindi non perdere tempo a farlo, un'ora passa in fretta".
Quel giovane è davvero antipatico e anche la mia timidezza sta per avere il sopravvento, quando mi ricordo la breve esperienza di venditore "porta a porta" di enciclopedie.
Provo dunque a improvvisarmi di nuovo un venditore e per attirare il pubblico esordisco con uno slogan, degno del peggiore Carosello, come dimostra la smorfia di disgusto dello standista:
"Se volete conoscere un poeta, acquistate il libro che ho pubblicato!"
Pur alzando il tono della voce, mi accorgo che i poeti non li considera nessuno e soltanto dopo molti tentativi riesco a convincere una ragazza a prestarmi la sua attenzione. Forse è una giovane studentessa dell'Università di Torino: alta, magra, carnagione chiara, capelli corti e biondi, occhi castani. Veste in modo semplice e sportivo: comodi e pratici jeans, sotto il giubbotto un maglione a colori vivaci con una profonda scollatura a "V".
Prende il mio libro ed inizia a sfogliarlo.
"Mi piacciono le tue poesie, sono scritte bene!"
"Grazie!", e quasi impallidisco per il complimento.
"Ti senti male? Sei diventato bianco!"
"Si è emozionato", - interviene ridendo lo standista - "i poeti sono molto sensibili", ed intanto osserva in modo sfacciato il seno della ragazza. La studentessa sembra non farci caso.
"Quanto costa?"
"Quindicimila lire, vuoi acquistarlo?" Lo trovi una cosa strana?
"No, mi piace quello che scrivi, quindi non meravigliarti se desidero comprarlo. Ma se non vuoi che lo faccia ... "
"Figurati! Non pensavo di riuscire a venderlo, tu sei la mia prima cliente!", le rispondo, diventando rosso come un gambero.
"Ti sei emozionato ancora? Adesso devi firmarlo e farmi la dedica ... "  Mi dice il suo nome, acquista il libro e si allontana soddisfatta.
Ed ecco avvicinarsi allo stand un signore di mezza eta'. Indossa pantaloni grigi e una giacca elegante dello stesso colore: con la mano destra regge una borsa di cuoio, sarà un insegnante, penso tra me e me.  Appoggia la borsa sul tavolo, prende una copia e legge senza guardarmi la poesia che ne da' il titolo:  "lo toglierei gli ultimi due versi".
"Ho aspettato dieci anni dal Riconoscimento in un Concorso prima di pubblicare il mio libro, lei ha letto in pochi minuti una poesia ed è già in grado di esprimere un giudizio! Mi complimento, devo essermi imbattuto in una eminenza letteraria oppure in un critico di fama internazionale!"
“Giovanotto, impari ad accettare le critiche!". Non aggiunge altri commenti, posa la copia e scompare tra la folla dei visitatori, senza dimenticare di riprendere la borsa.
"La tua risposta lo ha offeso e hai perso un cliente", controbatte lo standista.
"Senti chi parlai lo sarò permaloso, ma tu sei un maniaco. Ho notato come guardavi la studentessa. Le hai fatto la radiografia!"
"Scommetto che non portava il reggiseno!"
"E magari neppure le mutande! Per favore, pianta la! Vuoi finirla con le tue volgarità!".
Gli giro le spalle e mi rivolgo ad una giovane coppia.
"Sei davvero un poeta?", chiede la ragazza, corporatura minuta e viso coperto di lentiggini.
"Quanto meno, ci provo!"
"Posso leggere qualche poesia?"
"Certamente!"
"Sei bravo!"
"Non esagerare, sono un poeta esordiente!".
Il ragazzo è molto alto, barba incolta, capelli lunghi, volto simpatico e sguardo luminoso. Prende il mio libro e legge a sua volta.
"Hai ragione, Katia, è davvero bella!"
Posa sul tavolo la mia fatica letteraria, che rimane invenduta un'altra volta, si allontana di qualche passo con la sua compagna, poi si ferma di scatto:
"Scusami, ho dimenticato di dirti una cosa: buona fortuna, poeta!"
"Ne avrai bisogno, per il numero delle copie che hai venduto!", a parlare è ancora lo standista che vuole sempre avere l'ultima parola.
L'ora volge alla fine e puntualissima torna la signora.
"Sei riuscito a vendere il libro?"
"Uno soltanto" rispondo sottovoce, quasi vergognandomi.
"Non devi scoraggiarti, la poesia contemporanea vive in un mondo di frustrazione, provoca stati di panico e nuoce alla salute. E' indecisa fra l'essere conservatrice o rivoluzionaria e nel dubbio non va a votare, vuole strapparti un consenso però non riesce a toccarti il cuore. Per questi motivi non si vende e non ha mercato, ma è colpa dei lettori, colpa della gente incolta che non la capisce!".
Non credo alle mie orecchie e ascolto con aria sbalordita.
"Non stupirti troppo: dopo tutto, abitare con i poeti mi ha convinto che esiste la possibilità di migliorare il mondo con la fantasia. Per questo motivo provo a venderla ogni giorno e quando avrai un'altra raccolta da stampare, sarò lieta di farlo allo stesso prezzo".
Le sue parole mi confermano che la poesia spesso è infelice. Ha difetti di postura, l'alito cattivo e le mani sudate, non sa neanche mentire bene e non è brava a recitare. Inoltre, mio padre aveva ragione: a volte basta pagare per ottenere quanto si desidera.
Ma non dico a voce alta quel pensiero: saluto invece la signora, evito di stringere la mano al giovane standista che continua a sorridermi e corro alla stazione.
Nonostante tutto, sono felice della mia unica vendita che avevo addirittura autografata.

A Torino, Salone del Libro, maggio 1993

Enzo Gaia