Articoli

tratti dalla rivista

 

LA "GLOSA"

UNA FORMA POETICA ANTICA QUASI SCONOSCIUTA

di Carlo Cantagalli

da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere di Gennaio 2010

Il termine GLOSA non esiste nel vocabolario della lingua italiana. Per trovare qualche informazione su questa parola è necessario consultare le enciclopedie dove, se si trova, viene liquidata con un trafiletto di poche righe.

Anche il testo classico “La Metrica Italiana” (di Pietro G. Beltrami), uno splendido trattato, elude questo termine, il quale nella nostra lingua può essere addirittura confuso con l'altra parola “glossa”, che, sebbene originaria della stessa radice greca, assume un significato abbastanza differente. Eppure, in passato, durante molti secoli la GLOSA è stata un'espressione poetica molto adoperata, un'espressione diffusa in diversi Paesi europei, che però non è mai riuscita a penetrare nell'architettura poetica italiana. Ad essere precisi qualche traccia della GLOSA si può trovare in alcuni modelli della poesia sarda, che ha subito l'influenza inevitabile della “Régula Castigliana” importata durante il dominio aragonese, seguito poi da quello spagnolo, esercitati sull'isola per più di 400 anni: da questo fatto si può dedurre facilmente che l'origine e lo sviluppo di questa forma poetica, a partire dal XV secolo, sia di matrice iberica, anche se non tutti i filologi siano d'accordo.

La GLOSA è il titolo che viene attribuito ad un componimento poetico diviso in due parti. La prima parte, che viene generalmente chiamata “mote” (dal francese mot), consiste in una breve composizione, spesso di un'unica strofa con numero varibile di versi ed impostazione metrica, con particolare predisposizione alla forma ottonario. In questa prima parte il poeta deve esprimere un concetto breve e preciso: si tratta in sostanza come se presentasse un prologo nel quale si definiscono le basi delle idee che saranno posteriormente riprese e sviluppate nella seconda parte.

La seconda parte, che prende l'appellativo di “glosa” e che, come si può notare, dà automaticamente il nome a tutta la forma compositiva, ha il compito di spiegare e commentare quanto è stato espresso nel “mote”, di modo che tanto il “mote” che la “glosa” creino una simbiosi concettuale, metaforica e architettonica quasi indissolubile.

Secondo la regola generale, la “glosa” classica deve contenere una o più strofe ed il loro sviluppo metrico, con le eventuali rime incluse, deve restare fisso per tutta la composizione. Ma la caratteristica peculiare ed imprescindibile della “glosa” è quella che ciascuna strofa deve sempre contenere la ripetizione di uno o più versi che sono stati espressi nel “mote”. La ripetizione può essere inserita sia all'interno, in modo simmetrico, o, più frequentemente, nella chiusura di ogni strofa.

La nascita della GLOSA ha avuto la sua fonte ispiratrice nella poesia trovadorica espressa negli innumerevoli Canzonieri e Cantares fioriti nel periodo medioevale (Cancioneiro da Ajuda, Cantigas de Santa Maria, Cancioneiro General, Cancioneiro de Garcia Resende, etc.) che rappresentavano l'espressione e la testimonianza più genuina e popolare dei nuovi Volgari (Provenzale, Galego-Português, Castigliano, Catalano) sorti sulle ceneri del latino. Così i primi testi a costituire il “mote” sono stati spesso stralci delle liriche di carattere amoroso, religioso e agiografico che si cantavano nelle corti, ma anche le Villanelle ( Villancicos o Vilancetes ) e le liriche beffeggianti ( Burlas e Cantigas de Escárnio e Maldizer ), di carattere molto semplice e popolare. Durante il secolo XVI, el siglo de oro, la poesia iberica raggiunse il suo massimo splendore e la GLOSA continuò a perfezionarsi sia nel “mote” di quattro versi ottonari ( Redondillas o Quadras ) e non più ripreso da altri autori, quanto nella “glosa” formata da quattro strofe classiche in decima rima.

Tra i Paesi in cui la GLOSA si è particolarmente affermata merita di essere citato il Portogallo. Due grandi Poeti: Luís Vaz de Camões e Manuel Maria Barbosa du Bocage hanno rappresentato le due epoche emblematiche nella storia della GLOSA: la sua fase di nascita e sviluppo e quella della sua morte lenta. Il primo, poeta rinascimentale e Poeta Nazionale, ha interpretato le sue GLOSE con l'aria giovanile e trovadorica mescolando le villanelle agli epigrammi e ai madrigali. Il secondo, poeta del tardo settecento, pressato tra l'Arcadia decadente ed un romanticismo embrionale, tra la retorica dell'oscurantismo monarchico clericale e la sentimentalità della passione erotica e satirica, ha scritto GLOSE classiche dove la perfezione stilistica raggiunge il massimo sviluppo.

L'avvento del romanticismo ha segnato la morte della GLOSA, anche se spesso il “mote”, estrapolato dal contesto del poema, sia diventato un proverbio o un detto celebre a sé, per presentarsi più breve ed accessibile alla memoria ed alla presa popolare. Soltanto verso la fine dell'ottocento e la prima metà del novecento la GLOSA è riapparsa improvvisa, quasi prepotente, ma solo sfruttata da quei poeti “parolieri” che componevano i testi per le canzoni del Fado: una rivincita senza resurrezione.

La lirica che presento in questa pagina l'ho composta per celebrare il ricordo di un caratteristico paese di pescatori, una località appollaiata sulle rive dell'oceano Atlantico e fustigata dal vento e dalle maree, ultimo rifugio fra lidi e scogliere per riconciliarsi con l'essenza umile ed elementare della vita. Si tratta di una lirica strutturata in forma di GLOSA classica: soltanto un mio modesto tentativo di riaccendere l'attenzione dei lettori per una forma poetica ormai scomparsa e quasi dimenticata, come una meteora, una meteora scivolata lucente per alcuni secoli attraverso l'universo maestoso e misterioso della Poesia.

“GLOSA” di ERICEIRA (*)

La terra che si scorge solo mare,
mare intinto sui bordi delle case
distese al vento come a navigare
nel fremito fiabesco di una frase.

Il sentimento frutto del tuo sguardo
diventa luce bianca da accecare
e stringo gli occhi, sorriso bugiardo,
la terra che si scorge solo mare.

Cantano i morti chiusi nella stiva
cupa dell'acqua: onde come evase
da sottoterra ansando verso riva:
mare intinto sui bordi delle case.

Sale la viuzza, scendono stradine,
s'alza un gabbiano pronto ad ammarare,
alle finestre trine di tendine
distese al vento come a navigare.

Sale il mio canto, flottano ricordi
di mare e vento ansanti. Là rimase
intatto quel sorriso che non scordi
nel fremito fiabesco di una frase.

2009 – Carlo Cantagalli

(*) Località piscatoria nella regione di Lisbona

Carlo Cantagalli