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CARMINA NON DANT PANEM

di Gioia Guarducci

da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere di Gennaio 2008

A che cosa serve scrivere versi? Un antico motto afferma “Carmina non dant panem”, cioè la poesia non procura guadagni a chi la pratica, infatti solo in un lontano passato succedeva che i poeti si guadagnassero da vivere grazie alla loro arte.

Nell'antica Grecia gli aedi abitavano nelle case dei Principi per allietarne i conviti con il canto. A Roma esistevano ricchi patrizi, come ad esempio Gaio Cilnio Mecenate (da cui nacque il termine “mecenatismo”), che incoraggiavano e finanziavano artisti e poeti.

Nel medioevo trovatori, poeti-giullari, “clerici vagantes” erano costretti per sbarcare il lunario ad andare di corte in corte, così anche, dal Rinascimento in poi, i poeti, chiamati presso le grandi famiglie aristocratiche, si sdebitavano dell'ospitalità non solo celebrando nei loro versi la casata del loro Signore, ma anche adoprandosi come segretari o faccendieri.

Abbiamo solo rari esempi di poeti che, grazie al loro rango e alla loro ricchezza, poterono dedicarsi allo scrivere per puro diletto (per citarne alcuni: Matteo Maria Boiardo, Lorenzo il Magnifico, Matteo Bandello, Vittoria Colonna, Veronica Gambara).

Ai tempi nostri, per carenza di aristocratici magnanimi o di ricchi industriali (oggi disposti più a “sponsorizzare” sport come calcio, automobilismo, vela... piuttosto che l'arte) i poveri poeti debbono trovarsi un lavoro per sopravvivere.

Di che campano allora i poeti?

Per curiosità mi sono messa a spulciare le biografie di poeti dell'età moderna, per vedere quale attività esercitassero. Ed ecco qui:

Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli : furono insegnanti di liceo, poi docenti universitari;

Guido Gozzano : non riuscì mai ad ottenere un lavoro fisso, a causa della salute malferma, e visse del patrimonio di famiglia;

Pietro Jahier : fu impiegato delle ferrovie dello stato;

Corrado Govoni : fu impiegato ministeriale;

Dino Campana : fece i più svariati mestieri in giro per il mondo, da fochista su bastimenti mercantili a suonatore di triangolo nella Marina Argentina;

Marino Moretti : collaborò con periodici e giornali tra cui “Il Corriere della Sera”;

Aldo Palazzeschi : fu attore in compagnie teatrali, poi collaboratore di riviste letterarie e del “Corriere della Sera”;

Vincenzo Cardarelli : esercitò svariati mestieri, finché non si avviò all'attività giornalistica nella redazione dell' “Avanti”;

Camillo Sbarbaro : si impiegò nell'industria siderurgica;

Giuseppe Ungaretti : dapprima fu interprete del Ministero Affari Esteri, poi insegnante all'Università di S. Paolo in Brasile;

Umberto Saba : gestiva una libreria antiquaria di sua proprietà;

Eugenio Montale : impiegato della casa editrice Bemporad, direttore del Gabinetto Viesseux a Firenze, redattore del “Corriere della Sera”;

Carlo Batocchi : agrimensore, si occupò di edilizia;

Sergio Solmi : impiegato di banca;

Salvatore Quasimodo : geometra del genio civile, poi insegnante;

Sandro Penna : fece svariati mestieri tra cui allibratore, commesso, venditore di generi alimentari e d'opere d'arte;

Clemente Rebora : insegnante;

Cesare Pavese : insegnante, traduttore e collaboratore di riviste letterarie;

Leonardo Sinisgalli : ingegnere, direttore dell'Ufficio pubblicità dell'”Olivetti”;

Alfonso Gatto : esercitò svariati mestieri, tra cui commesso in libreria e poi giornalista e insegnante;

Giorgio Caproni : impiegato, maestro elementare, violinista, collaboratore di diversi giornali;

Vittorio Sereni : insegnante, poi impiegato alla “Pirelli” e alla “Mondadori”;

Piero Bigongiari : docente universitario;

Pier Paolo Pasolini : insegnante, poi sceneggiatore e regista;

Mario Luzi : docente universitario;

Andrea Zanzotto : insegnante, collaboratore e critico di riviste letterarie.
 

Meglio fermarsi qui.

Perché i poeti continuano oggi giorno a scrivere se nessuno riesce a vivere vendendo la sua poesia? Perché la poesia sopravvive anche in un'epoca tecnologica e industrializzata come la nostra?

Le grandi case editrici sono restie a rischiare operazioni di mercato con testi e autori sconosciuti. Non esiste selezione, né la critica si occupa degli esordienti, specie in poesia. Ciononostante giornali e riviste aprono nuovi spazi, nascono siti internet specializzati, si tengono recital pubblici di poesia e centinaia di associazioni indicono concorsi letterari sempre affollati di partecipanti.

Con i versi non si guadagna niente, pullulano però numerose piccole case editrici, che pubblicano opere inedite con una cosiddetta “parziale copertura delle spese” (bontà loro!!), con un contributo da parte dell'aspirante scrittore; ecco quindi che proprio e soltanto per questi editori le parole di Orazio si mutano in “Carmina dant panem”!

Purtroppo la poesia non viene letta se non dagli stessi poeti o dagli aspiranti tali e da pochi altri estimatori, anche forse perché non c'è una seria ed efficiente rete di distribuzione delle opere minori e non vi sono canali di comunicazione nazionali. Si può affermare però che esiste e si consolida sempre più una comunità, legata da affinità elettive, che si incontra sulle riviste letterarie o su internet, si ritrova in occasione di premi letterari o di recital in teatri o piazze, si raccoglie in una miriade di associazioni, una società eterogenea, che ha raccolto e porta avanti il testimone della poesia.

Questa “Poesia”, che scopre e rigenera la realtà attraverso metafore e simboli, che decodifica il mondo esterno e fa luce in fondo a noi stessi, che con parole nuove non consunte dall'uso ci fa volare lontano, questa “Poesia” per sua stessa natura è libera, disinteressata, tesa verso l'inafferrabile, rifugio da tutto ciò che è mediocre, e chi l'ama accetti serenamente che essa non dia guadagno e resti svincolata da mere leggi di mercato.

“Carmina non dant panem”, la poesia non dà pane -è vero- ma cura, consola ed è la sola in grado di offrire allo spirito risposte profonde, capaci di salvare l'uomo dalla fatica del vivere.

Gioia Guarducci