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RICORDI DAL SOTTOSUOLO – La visita di Alberto Moravia

di Carlo Cantagalli

da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere di Gennaio 2007

 

In quel tempo, e mi riferisco all'anno 1983, mi trovavo a Lisbona, dove avevo la buona abitudine di frequentare abbastanza assiduamente l'Istituto Italiano di Cultura, che per alcuni anni venne diretto in modo esemplare dal Prof. Paolo Angeleri, credo originario di Arezzo.

Fra le tante manifestazioni che vi venivano organizzate, ricordo particolarmente quella che riguardò la visita di Alberto Moravia. Si trattò di un evento quasi memorabile sia per l'Istituto e per il pubblico locale, ma anche per quegli italiani colà residenti ed amanti della cultura. Sì, fu proprio così: Alberto Moravia sarebbe venuto a Lisbona non solo per presentare la traduzione di un suo libro di favole, ma anche per parlare a tutti come scrittore, grande scrittore, e probabilmente per parlare a tutti come italiano, grande italiano.

Quella sera il salone dell'Istituto mi apparve stracolmo fino all'inverosimile; all'improvviso l'attesa fu spezzata e dal fondo apparve la figura di Moravia, piccola e pallida, mescolata a quelle dei suoi accompagnatori che quasi lo cancellavano.

Dopo le presentazioni di rito, illuminate dai lampi dei fotografi, Moravia prese la parola. Con la voce debole, che a tratti sembrava tremolante, esordì citando Esopo, La Fontaine, Andersen ed i Fratelli Grimm, tutti legati al mondo magico della favola, poi, dopo avere ricordato Lukacs e Darwin, fece un lunghissimo elogio di Shakespeare e di J. Joyce, che considerò gli esempi inarrivabili della letteratura mondiale. Descrisse con colori vivaci i suoi viaggi intorno al mondo e considerò l'Africa il continente più affascinante della terra.

Prima di concludere, volse un breve sguardo alle cose di casa nostra e ripeté le giuste critiche al fascismo, sottolineando che a D'Annunzio mancava il senso comune, censurò pesantemente la piaga del Vaticano e della Chiesa che affiggeva e soffocava l'Italia e terminò sostenendo che l'italiano è per sua propria natura una persona violenta, senza sapere scoprirne la ragione. Poi, dopo avere autografato alcuni libri, se ne andò via, con il suo passo incerto, la testa bianca ed eretta e gli occhi scintillanti, sempre circondato dai suoi accompagnatori, trascinando la propria vecchiaia fra gli applausi del pubblico ed i soliti lampi delle macchine fotografiche.

In piedi, fra tanta gente entusiasta ed emozionata, rimasi a lungo perplesso, per non dire deluso. Sapevo che artisti come lui dovevano appartenere all'umanità intera e che bisognava quindi saperli accettare così, come tali, lasciando da parte, nel ripostiglio di casa nostra, quel poco di provincialismo nazional-culturale che ancora mi circondava e che mi faceva immaginare lo stivaletto tricolore come il centro universale della mia presunzione.

Le porte non erano più chiuse e bisognava uscire per forza, pur brancolando tra il fumo e la nebbia, bisognava uscire all'aperto, anche se al di là delle pianure e delle montagne, e al di là dal mare c'era ancora qualcuno che gridava e cercava di farsi riconoscere nella propria identità dove era cresciuto e che aveva amato.

Sulla porta dell'Istituto incontrai il giovane che era stato seduto al mio fianco nel salone: uno studente universitario che aveva la presunzione di sapere l'italiano, un tipo sgangherato e petulante, ma in fondo un simpatico attaccabottoni, il quale di tanto in tanto mi chiedeva spiegazione delle parole che non riusciva a capire durante la conferenza. Iniziammo silenziosi a scendere il breve tratto di strada della Rua do Salitre che porta al Largo do Rato, dove ci saremmo accomiatati. Ma il silenzio durò poco.

- Ebbene? – mi domandò infine, quasi a bruciapelo, - le è piaciuto o no il suo compatriota? –

Per nascondere le mie perplessità, risposi che avevo trovato Moravia invecchiato e stanco, forse più stanco che vecchio, e che sicuramente il viaggio, con tutti gli impegni collegati, lo avevano senza dubbio logorato; una persona con l'età già avanzata avrebbe avuto bisogno di più riposo.

- E quella bellissima donna…. quella giovane con i capelli sciolti sulle spalle, costantemente accanto a lui, ed alla quale lui stesso si appoggiava in continuazione… e quella chi era?-

La domanda mi sorprese. Risposi che poteva essere la sua segretaria o addirittura la sua compagna; io purtroppo non ero al corrente della sua vita privata, che non mi interessava affatto.

Mi accorsi che mi osservava di sbieco, con gli occhi che ammiccavano, quasi scoppiassero da un momento all'altro. Mentre cercavo di evitare le buche del marciapiede stretto e malandato, mi aveva afferrato per il braccio e cercava di proiettare la sua faccia verso la mia, in un tipico atteggiamento dei portoghesi messi a loro agio, ma da me poco gradito.

- La sa una cosa? Con una donna come quella alle calcagna, si deve essere certamente sempre molto, ma molto stanchi! – E rideva, e mi guardava cercando di carpire il mio consenso, e rideva, e mi tese la mano salutandomi con ampli gesti, e sparì serpeggiando fra le auto ferme al semaforo, nella penombra della piazza.

Io abbozzai un sorriso come per compiacenza, e dimenticai per un attimo tutte le mie perplessità.

Carlo Cantagalli