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tratti dalla rivista
ANCORA SUL NOSTRO NOVECENTO POETICO
da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere
del Ottobre 2002
Più ci si allontana dallo scorso secolo e più si consolida
la nostra facile profezia sulla inconsistenza della stragrande maggioranza
della poesia del novecento: certamente in nessun altro secolo si erano
scritti e messi in circolazione tanti versi e certamente in nessun altro
secolo si era data tanta importanza a prodotti malaticci e incapaci
di qualsiasi tipo di sopravvivenza.
E’ questo un discorso che invade un po’ tutti i livelli
di produzione, dai dilettanti (che dilettanti più di così
non si può essere) che vantano serie di volumi pubblicati e decine
di premi vinti, quasi non confessando neppure a se stessi che i volumi
sono stati stampati esclusivamente a loro spese e che molti dei premi
letterari avuti sono stati dati da giurie i cui membri con il gusto
della poesia non avevano proprio niente da spartire, ai “grandi
poeti laureati” incredibilmente sopravvalutati con parole non
supportate dai fatti. Mi piace, tra tutti, continuare a citare l’esempio
di uno dei nostri massimi: Giuseppe Ungaretti, perché in lui
si concretizza forse il caso più macroscopico. Io tra gli “acculturati”
non ho mai trovato nessuno che mi abbia onestamente affermato che a
lui la poesia di Ungaretti è piaciuta poco o punto, e nel contempo
non ho trovato quasi nessuno, tra questi “acculturati”,
che, dopo aver comprata (e forse interamente letta) una raccolta di
poesie di Ungaretti, abbia avuto da questa lettura lo stimolo per comprarne
una seconda, una terza e così via, come si fa con tutte le cose
che veramente ci piacciono e si seguono con interesse. E così
abbiamo la prima vera raccolta, L’ALLEGRIA, edita nel 1919 (nella
quale era confluito il capitolo de “Il porto sepolto” che
aveva visto la luce autonomamente nel 1916 tirato in poche decine di
copie) che dilagò con centinaia di migliaia di copie, e poi l’indifferenza
per tutte le altre, con un certo risveglio per IL DOLORE (edito nel
’47). Ma chi ha comprato una delle 5 o 6 raccolte che Ungaretti
ha dato alle stampe dopo gli anni ’50? Addirittura le ultime due
stampate a Torino nel 1967 e 1968, MORTE DELLE STAGIONI e DIALOGO, penso
che non abbiano superato le 4/500 copie effettivamente vendute.
Questa non vuole essere una critica alla poesia di Ungaretti, troppo
spazio occorrerebbe, ma una critica all’ipocrisia poetica della
nostra epoca e alla paura di esprimere liberamente un nostro pensiero
perché ci sembra controcorrente, pur essendo invece comune alla
stragrande maggioranza. Strana epoca la nostra che ha visto i poeti
(dilettanti e non) crescere soltanto per capacità di ruoli: sono
infatti essi stessi “critici” perché si leggono e
avallano da soli le loro poesie da pubblicare, “editori”
perché si accollano tutte le spese editoriali, “acquirenti”
perché si comprano loro tutti i libri stampati, e molti anche
“distributori” perché con pazienza portano loro i
libri per essere messi in vendita in qualche negozio disponibile.
Ma oggi per fortuna siamo già in un altro secolo e ci stiamo
rimboccando le maniche per rilavorare una poesia che abbia una più
attenta struttura, stimolando in maniera personale la sensibilità
dei lettori e dando modo ad ognuno di manifestare “senza paure”
i propri gusti. E il nostro giornale vuole essere uno strumento di questo
risveglio.
Dalmazio Masini
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