Articoli

tratti dalla rivista

 

IL RONDO' ITALIANO

da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere del gennaio 1999

A chiusura di un secolo dominato dall'informale e dal rifiuto di quasi tutte le certezze tradizionali, la nascita DI UNA NUOVA FORMA di poesia poggiata tutta su precise regole mi sembra un evento meraviglioso e tale da farmi affermare: l'Arte ha ritrovato se stessa riscoprendo discipline e armonie, l'Uomo ritroverà se stesso riscoprendo la necessità di tornare ad armonizzarsi con tutti gli altri elementi del creato.

Ma vediamola nei dettagli questa nuova forma poetica che è, a mio giudizio, il prodotto letterario più perfetto fino ad oggi inventato: sboccia da un variegato intreccio di rime che incatena quartine che si presentano tutte a rima "baciata". Il gioco ritmico di ogni singola quartina è quello semplice ABAB della rima "alternata", ma l'invenzione che dinamizza tutta questa forma è rappresentata dal fatto che le rime pari di ogni quartina diventano quelle dispari della quartina successiva secondo questo schema:

ABAB BCBC CDCD DEDE... ecc.

Ogni rima alternata si trova quindi per 4 volte consecutive (e solamente 4 volte) nell'intera poesia, compresa la rima iniziale (A) che torna come l'ultima rima. Quindi se l'intero rondò fosse di 6 quartine dopo DEDE ci sarebbe EFEF e la conclusiva FAFA.

Con questo travaso di rime la poesia viene, metaforicamente, ad assumere una figurazione circolare in movimento (come una ruota), tanto è vero che il "rondò" OTTOBRE, nato nell'autunno del 1995 fu concepito proprio come poesia circolare anche visivamente, e scritto così (si legge scendendo da sinistra e poi risalendo dall'ultimo verso di destra).

 

OTTOBRE

(Trapasso di stagione)

Troppo uguale a quest'aria mi trovo
a questo dolce scivolare d'ore
che son per me come un vestito nuovo
mollemente avvolgente e protettore

poco o niente rimane del furore
che accompagnò i miei passi appena ieri
quando bastava un cenno intenditore
ad accendere istinti avventurieri

bacio l'ultimo sole e mi commuovo
ma pur se teso a questo divenire
verso una fredda meta i passi muovo
Come il tepore è prossimo a morire

Sempre in cerca d'amori passeggeri
godevo Maggio di tempeste e sole
simile ai miei mutevoli pensieri
e ai gesti svelti più delle parole

 

e che vano sarebbe ogni mentire?
che fuori e dentro non son più lo stesso
un volto differente a ribadire
Ora che nello specchio c'è riflesso

E forse il fatto che di più mi duole
in questo Ottobre di pacate liti
è capire che i tempi delle fole
irrevocabilmente son finiti

tutti gli antichi sogni di successo?
ora che hanno contorni sbiaditi
adattabili al nuovo me di adesso
Saprò dunque guardare ad altri miti

 

E con questa figurazione furono presentati anche gli altri rondò scritti nel corso del 1996 da quegli autori italiani che per primi si sono innamorati di questa forma. In seguito fu deciso che, anche per motivi di pratica editoriale, i rondò si sarebbero continuati a scrivere nella tradizionale forma verticale, come gli 8 qui riportati.

 

OTTOBRE

(Trapasso di stagione)

Troppo uguale a quest'aria mi trovo
a questo dolce scivolare d'ore
che son per me come un vestito nuovo
mollemente avvolgente e protettore,

poco o niente rimane del furore
che accompagnò i miei passi appena ieri
quando bastava un cenno intenditore
ad accendere istinti avventurieri.

Sempre in cerca d'amori passeggeri
godevo Maggio di tempeste e sole
simile ai miei mutevoli pensieri
e ai gesti svelti più delle parole

E forse il fatto che di più mi duole
in questo Ottobre di pacate liti
è capire che i tempi delle fole
irrevocabilmente son finiti.

Saprò dunque guardare ad altri miti
adattabili al nuovo me di adesso
ora che hanno contorni sbiaditi
tutti gli antichi sogni di successo?

Ora che nello specchio c'è riflesso
un volto differente a ribadire
che fuori e dentro non son più lo stesso
e che vano sarebbe ogni mentire?

Come il tepore è prossimo a morire
verso una fredda meta i passi muovo
ma pur se teso a questo divenire
bacio l'ultimo Sole e mi commuovo.

Dalmazio Masini

 

FIRENZE MIA...

Firenze mia, perla che fu preziosa
in un castone di dolci colline,
città schiva, scostante e presuntuosa,
poco amata da sterili vicine;

insuperbita sei delle tue trine
di palazzi, di chiese e monumenti,
ma ormai ridotta a un mucchio di vetrine
ad uso solo d'ospiti invadenti.

Sommersa da quell'orde dirompenti,
piena di scritte in lingue forestiere,
città-museo dai contrasti stridenti,
bazar sbracato per genti straniere.

Mista comunità senza frontiere,
multirazziale si, ma nei delitti,
ora che hai superato le barriere
del vivere civile e dei diritti.

Secoli di alta storia sono scritti,
piccola perla senza più poesia,
sul Ponte Vecchio, su Palazzo Pitti,
sull'orgogliosa Piazza Signoria.

Ad una ad una son fuggite via
le tue glorie recenti: la cultura,
arte, musica, moda, editoria;
tutti ormai declassato e senza cura.

Triste città, che hai perso la misura
che ti faceva colta e raffinata,
e che al degrado aggiungi la sventura
di ricordare quello che sei stata.

Mal frequentata e male governata
da gente che non t'ama e che ti usa,
tradita, vilipesa, snaturata,
prostituta per tutti, e a tutto chiusa!

Piccola perla, lascia ancor socchiusa
la dura valva e cerca senza posa
di risvegliare in te l'antica Musa,
che, forse, non è morta, ma riposa.

Mario Macioce

 

L'ULTIMA VIOLA

"Appoggiati al mio braccio, mamma, usciamo,
fuori è tutto un fiorir di primavera".
E passo dopo passo ce n'andiamo
nell'aria profumata della sera.

Mentre t'appoggi contro me leggera,
guardo con pena il polso tuo smagrito,
nella luce azzurrina par di cera
il caro volto pallido e sfiorito.

A pieno avverte il cuore sbigottito
che il tempo passa inesorabilmente.
Ti soffermi e mi scruti, hai già capito
quali pensieri m'agitan la mente.

In fondo agli occhi guizza debolmente
col suo calore ancor l'antica fiamma,
mi guardi sorridendo stancamente.
C'è tanto amore in quel sorriso, mamma!

E tra noi cade il fragile diaframma,
di silenzi intessuto e incomprensione.
So che detesti il pianto e il melodramma,
ma come un'onda sale l'emozione.

Mi faccio forza con ostinazione,
ma sento un nodo stringermi la gola,
inghiottito a vuoto la mia commozione,
mentre mi stringi senza una parola.

Guardo in alto una rondine che vola
e garrisce struggente il suo richiamo.
Per te raccolgo un'ultima viola
e verso casa piano ritorniamo.

Gioia Guarducci

 

IL BIVIO

Noi ci lasciammo al bivio della via,
in una sonnolenta estate scura.
Stringevo la tua mano nella mia
col cuore che fremeva di paura.

La nostra era soltanto un'avventura
ma insieme a te precipitava il mondo
e notte m'attendeva triste e dura:
sapevo che io avrei toccato il fondo.

Tu mi guardavi serio e in un secondo
si sbriciolò la vita tra le mani:
lo sguardo tuo correva vagabondo.
Ti supplicai gridandoti: "Rimani!"

Tacevi e la certezza d'un domani
moriva nel silenzio del futuro.
Così vicini, eppure, già lontani
perenne s'innalzava un grande muro.

L'odor di gelsomino, tanto puro,
a me pareva essenza di tristezza
ed il tuo fare energico e sicuro
era un pugnale per la mia amarezza.

Col tempo persi ingenuità e dolcezza
però non seppellivo la speranza
di ritrovare un giorno la carezza
che avrebbe dato un senso alla costanza.

E adesso, mentre questa vita avanza,
lasciando i lembi di malinconia
dietro le sbarre d'una vecchia stanza,
l'incontro ancora al bivio della via...

Flora Gelli

 

ANIMA FIORITA

Quel libro vecchio della mia esistenza
nasconde ancora petali di rose
e fiorellini della stessa essenza,
ma fingo d'ignorar chi li depose.

Saranno state mani deliziose
di fanciulletta certamente bella
come le rose rosse rugiadose
o raggi luminosi d'una stella.

Quell'anima fiorita è la donzella
che amai in gioventù perdutamente.
- Il primo amore il cuor giammai cancella,
ma resterà nel libro eternamente -.

Spira il pensier d'Aprile nella mente
sembra tornata in me la primavera.
Poi, quell'idea diviene renitente
per rischiararsi nella luce vera.

Com'è divino il cuore di chi spera
ancora l'infiorir dell'innocenza
e l'estasi dell'animo in preghiera
quando all'amor mancava l'indecenza.

AIfredo Varriale

 

TEMPORALE

Ingrigite dal cielo opaco, greve
di nuvole vaganti da cui rade
spere di sole hanno pertugio breve,
le foglie secche coprono le strade.

Sbatte un'imposta, un gocciolone cade
rigando il vetro alle finestre vuote,
poi giù, i rovesci taglian come spade
fredde e affilate le corolle immote

di pochi fiori. Il temporale scuote
le cime dei cipressi e piega il fico,
martella i coppi e la gronda percuote.
Infreddolito, sotto il tetto antico,

un passerotto schivo, un po' pudico,
quasi trema e singhiozza poche note;
dal carretto che va, solo e mendico,
com'eco gli rispondono le ruote.

Il canto aleggia nelle stanze vuote,
mi dà conforto; si, piccolo amico,
le poche le rime, le tue brevi note,
la tua vocetta ascolto e benedico.

Mentre tu rubi chicchi di panico
e saltellando sul molle terreno
vai in cerca degli insetti o d'un lombrico,
il lavoro coll'animo sereno

riprenderò se in ciel l'arcobaleno,
distesi i suoi colori con un lieve
baglior di luce, scioglierà il veleno
del grigio, come il sol fa con la neve.

Oretta Nutini

 

VIVERE A GENOVA

Genova è bella con le sue grandiose
superbe costruzioni lungo il mare
che va da Voltri a Nervi. Numerose
fortezze e chiese tu vedi svettare

sui monti attorno. Si può respirare
lungo le spiagge lo iodio marino
o l'aria pura, fresca e salutare
camminando nei boschi pian pianino.

La donna mia conosce già il cammino
dei sentieri rupestri e di sovente
si va alla Guardia, cara al pellegrino,
o alla Vittoria o altra meta adiacente.

E' soave sedersi mollemente
sui prati o andare raccogliendo fiori
o le erbette o le more. Lietamente
gioisce l'occhio tra i mille colori.

Peccato che veloci passan l'ore:
ci attendono laggiù le nostre cose,
piccole cose, ma gradite al cuore,
cose di tutti i giorni, ma preziose.

Baldassarre Turco

 

SINFONIA AUTUNNALE

Veste, l'autunno, di malinconia
con i suoi tenuissimi colori
e mette mano ad una sinfonia
che di rimpianti intenerisce i cuori.

Se son vivaci e freschi i grati odori
che allietano la bocca e la cucina
si vanno stemperando anche i tepori,
s'accorcia il giorno e il sol di più declina.

Per i sentieri indugia già la brina,
il merlo zirla, ed io lo sto a sentire,
vela, la bruma, il cielo di mattina,
non una rondinella più a garrire.

E questo, dentro, non mi fa gioire,
non mi regala più spensieratezza,
anzi mi dice come suol finire
anche il crescendo della giovinezza.

E in questa malinconica dolcezza,
che strega il cuor ma non lo fa sognare,
in questa non cercata tenerezza,
che l'animo dispone a poetare,

s'accresce in me la voglia di riamare
chi mi conforta e mi regala amore;
chi, amando, mi sa sempre consolare,
con un sorriso intenso di calore.

Perché ha bisogno, questo vecchio cuore,
di cogliere, impazzendo, l'infinita
gamma dei sentimenti: come un fiore,
in cui si enuclea il giro della vita.

Che resta una tensione indefinita
in un alterno gioco a rimpiattino,
qual è l'inevitabile partita
che ognuno ha da giocare col destino.

Ma, non è l'uomo, già come il buon vino
che, invecchiando, acquista vigoria,
così che, concludendo il suo cammino,
con l'autunno ha grande nostalgia.

Pasquale Manti